L’esposto al CSM non deve valicare i limiti deontologici

La violazione dell’art. 53 cdf, che impone al professionista di mantenere con il giudice un rapporto improntato alla dignità ed al rispetto della persona del giudicante e del suo operato, si configura anche nell’utilizzo di espressioni sconvenienti in quanto dirette consapevolmente ad insinuare nei confronti del magistrato il sospetto di illiceità ovvero la violazione del dovere di imparzialità nell’esercizio delle funzioni. La tutela del diritto di difesa critica, il cui esercizio non può travalicare i limiti della correttezza e del rispetto della funzione, non può tradursi, ai fini dell’applicazione della relativa “scriminante”, in una facoltà di offendere, dovendo in tutti gli atti ed in tutte le condotte processuali rispettarsi il dovere di correttezza, anche attraverso le forme espressive utilizzate (Nel caso di specie, l’avvocato aveva fatto un esposto al CSM senza limitarsi a descrivere il fatto denunciato ma esprimendo altresì giudizi personali e non provati nei confronti del magistrato, alludendo ad un suo interesse personale nella causa, nonché ad un suo atteggiamento razzista, non equilibrato, non diligente, non corretto, ecc.).

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Corona, rel. Rivellino), sentenza n. 116 del 18 aprile 2025

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 116 del 18 Aprile 2025 (respinge) (avvertimento)
- Consiglio territoriale: CDD Firenze, delibera del 24 Maggio 2020 (avvertimento)
Giurisprudenza CNF

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