È temeraria la tesi che neghi la (potenziale) rilevanza deontologica della vita privata dell’avvocato

È temeraria la tesi difensiva dell’incolpato che neghi la rilevanza deontologica delle condotte in quanto estranee all’esercizio della professione in senso stretto (nella specie, anche penalmente rilevanti), allorché ledano comunque gli elementari doveri di probità, dignità e decoro, compromettendo così l’immagine dell’avvocatura.

Corte di Cassazione (pres. Travaglino, rel. Rossetti), sentenza n. 26368 del 10 ottobre 2024

NOTA

La potenziale rilevanza deontologica della vita privata dell’avvocato è espressamente prevista nell’art. 2 co. 1 cdf (“Le norme deontologiche […] si applicano anche ai comportamenti nella vita privata”), nell’art. 9 co. 2 cdf (“anche al di fuori dell’attività professionale”), nell’art. 24 co. 2 cdf (conflitti di “interessi riguardanti la propria sfera personale”), nell’art. 63 co. 1 cdf (“anche al di fuori dell’esercizio del suo ministero”) e nell’art. 64 co. 2 cdf (“inadempimento ad obbligazioni estranee all’esercizio della professione”).
Inoltre, sulla potenziale rilevanza della vita privata del professionista, oltre che ai fini della sanzione disciplinare, anche in sede cautelare cfr. CNF n. 65/2020.
Infine, sul fatto che la rilevanza deontologica della vita privata non contrasti con la normativa sovranazionale, cfr. Cass. n. 23020/2011, secondo cui l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) inibisce indebite intrusioni e aggressioni alla sfera privata e familiare delle persone, ma lascia integro il potere-dovere delle autorità competenti di valutare e, occorrendo, di sanzionare i comportamenti che si pongano in contrasto con i rispettivi ordinamenti.

abc, Giurisprudenza Cassazione

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