Il comportamento dell’avvocato che, nei confronti del collega, usi nei propri scritti espressioni sconvenienti ed offensive ha indubbia rilevanza deontologica, sotto il profilo della violazione dell’art. 20 del Codice Deontologico Forense, piuttosto che quella dell’art. 22, come ritenuto in prime cure, ben potendo il C.N.F., quale giudice di merito, emendare la motivazione resa dal C.o.A. locale e dare diversa qualificazione alla violazione contestata. (Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Roma, 16 ottobre 2003).
Consiglio Nazionale Forense (pres. ALPA, rel. DE MICHELE), sentenza del 29 maggio 2006, n. 26
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 26 del 29 Maggio 2006 (accoglie)- Consiglio territoriale: COA Roma, delibera del 16 Ottobre 2003
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