Si deve preliminarmente osservare che questo Consiglio, pur in ipotesi non coincidenti con il quesito posto, si è già espresso nel senso di non ritenere deontologicamente corretta l’utilizzazione della dicitura Studio Legale da parte di soggetti che, non essendo iscritti all’albo avvocati, non siano legittimati all’esercizio della professione per il mancato superamento del prescritto esame di stato (pareri n. 44/2010 e n. 38/2009, decisione n. 52 del 21/3/2005).
L’inserimento nella carta intestata della dicitura Studio Legale (e/o l’esposizione della targa recante tale dicitura) costituisce atto idoneo ad ingenerare nei terzi il convincimento di potersi riferire ad un soggetto abilitato ad esercitare la professione forense nelle sue varie connotazioni inducendo quindi il cliente in errore sui titoli del professionista: circostanza quest’ultima idonea a configurare la violazione dell’art. 21 C.D.
L’accostamento al sostantivo “studio” dell’aggettivo “legale” evoca l’immagine di un’organizzazione complessa, supportata da una piena professionalità, ove viene svolta l’attività legale per effetto di un titolo definitivo e non consente di avere consapevolezza dello svolgimento di un tirocinio forense meramente finalizzato, invece, alla partecipazione all’esame di stato.
Dichiararsi “titolare” di uno Studio Legale da parte di chi non sia professionalmente qualificato per svolgere tutte quelle attività che la legge attribuisce esclusivamente all’avvocato iscritto all’albo porta nella sostanza a prospettare, proprio in virtù dell’ampio significato della locuzione usata, una situazione diversa da quella reale dando un’informazione che non risulta “coerente con la finalità della tutela e dell’affidamento della collettività” (art. 17 C.D.) impedendo di distinguere prima facie se l’eventuale rapporto professionale si debba instaurare con un praticante avvocato, titolare di uno status abilitativo provvisorio e limitato, o con un avvocato abilitato a titolo definitivo.
Tali principi devono applicarsi non solo in ipotesi di abilitazione al patrocinio, la cui funzione precipua è quella formativa e che non può tramutarsi in strumento per l’esercizio surrettizio e autonomo della professione (C.N.F. pareri 28/10/2009 n. 38 e 21/7/2010 n. 44) ma anche, ovviamente ed a maggior ragione, qualora l’interessato, pur iscritto al registro dei praticanti avvocati, non sia abilitato al patrocinio.
Deve quindi concludersi per la non liceità deontologica dell’utilizzazione della dicitura “Studio Legale” da parte di chi non sia abilitato alla professione legale e non iscritto all’albo degli avvocati, a nulla rilevando l’eventuale iscrizione nel registro dei praticanti avvocati”.
Consiglio Nazionale Forense (rel. Picchioni), parere del 16 marzo 2011, n. 41
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 41 del 16 Marzo 2011- Consiglio territoriale: COA Massa, delibera (quesito)
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