Responsabilità disciplinare: la mera “culpa in vigilando” non esclude la sussistenza dell’elemento psicologico

La responsabilità del professionista ai fini dell’addebito dell’infrazione disciplinare non necessita di cosiddetto dolo specifico e/o generico, essendo sufficiente la volontarietà con cui l’atto è stato compiuto ovvero omesso, anche quando questa si manifesti in un mancato adempimento all’obbligo di controllo del comportamento dei collaboratori e/o dipendenti. Il mancato controllo costituisce piena e consapevole manifestazione della volontà di porre in essere una sequenza causale che in astratto potrebbe dar vita ad effetti diversi da quelli voluti, che però ricadono sotto forma di volontarietà sul soggetto che avrebbe dovuto vigilare e non lo ha fatto (Nel caso di specie, la collaboratrice di studio aveva omesso di depositare la querela).

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Secchieri), sentenza n. 50 del 16 luglio 2019

NOTA:
In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Labriola), sentenza del 28 dicembre 2018, n. 220.

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 50 del 16 Luglio 2019 (respinge) (sospensione)
- Consiglio territoriale: COA Torino, delibera del 23 Ottobre 2014 (sospensione)
abc, Giurisprudenza CNF

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