Il quesito proviene da un avvocato della Repubblica Ceca, difensore di alcuni clienti, i quali erano stati assistiti da un legale italiano (abilitato anche nella Rep. Ceca) per un risarcimento danni da incidente stradale dinanzi all’a.g. italiana. L’avvocato italiano aveva stipulato con i clienti un accordo tale per cui egli si impegnava a non addebitare loro alcun compenso per l’attività legale salvo un patto di quota lite pari al 15% del risarcimento del danno derivante da sinistro stradale.
I clienti, ritenendo vi sia stata una grave negligenza nella conduzione del contenzioso, hanno rifiutato di pagare il compenso pattuito.
L’avvocato ceco chiede, ai fini di un contenzioso instaurato dinanzi ad un tribunale ceco per il pagamento della parcella, se il cosiddetto “patto di quota lite” sia ammesso nell’ordinamento italiano, atteso che esso è legittimo nel suo Paese ma è escluso, a livello europeo, dal codice etico del C.C.B.E.
La Commissione, dopo ampia discussione, adotta il seguente parere:
“La richiesta di parere non appare ammissibile in quanto proviene da un privato, mentre la Commissione esprime orientamenti su richiesta di Ordini degli avvocati o di altri enti.
Tuttavia, atteso che il quesito proviene da avvocato straniero e che, nel caso di specie, vi è difficoltà ad individuare un Consiglio dell’Ordine territorialmente competente cui indirizzare la richiesta, si ritiene di esporre l’avviso della Commissione sulla questione sottoposta.
Nell’ordinamento forense italiano il cosiddetto patto di quota lite è sempre stato considerato vietato poiché deteriore dal punto di vista etico, in quanto lega il patrocinatore all’interesse del cliente, minandone l’indipendenza e favorendo tendenzialmente contegni processuali vantaggiosi anche per il difensore anziché nell’interesse esclusivo della parte assistita.
A questo proposito vi è stata completa consonanza tra il codice deontologico italiano ed il codice europeo emanato a cura del C.C.B.E. nel 1998 e mai emendato sul punto.
Tuttavia, perseguendo un discutibile intento di liberalizzazione ad oltranza, il Governo italiano ha emanato, nel luglio del 2006, un provvedimento d’urgenza, poi convertito in legge dal Parlamento (decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248) che ha ampliato la possibilità di stipulare i cosiddetti patti di quota lite.
Il Consiglio nazionale forense è stato, perciò, costretto a modificare il codice deontologico degli avvocati (delibera del 14 dicembre 2006), abrogando l’art. 45, la norma che espressamente vietava il patto di quota lite.
La risposta al quesito, pertanto, dev’essere del seguente tenore: il cosiddetto “patto di quota lite” è senza dubbio vietato nell’ordinamento forense italiano per tutti i rapporti di mandato professionale sorti in data antecedente al 4 luglio 2006 (come pare essere nel caso di specie, trattandosi di un contenzioso già addivenuto a conclusione), mentre è ammesso per quelli successivi.
Per completezza si deve precisare che, in ogni caso, rimangono deontologicamente illeciti i patti stipulati tra avvocato e cliente che prevedano compensi sproporzionati all’attività svolta e quelli che prevedano la cessione diretta a favore del patrocinatore di beni e diritti spettanti al cliente (art. 1261 cod. civ.).”
Consiglio Nazionale Forense (rel. Morgese), parere del 9 maggio 2007, n. 19
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 19 del 09 Maggio 2007- Consiglio territoriale: COA, delibera (quesito)
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