Il quesito proposto dal C.O.A. (di Santa Maria Capua Vetere) riguarda la posizione del praticante avvocato che, a causa di infermità o altro legittimo impedimento, interrompa per un periodo di tempo di “non breve durata” la pratica. Si chiede, in particolare, di conoscere:
a) se sia corretto riconoscere egualmente il periodo di interruzione della pratica, «stante la involontarietà» della stessa, ai fini della maturazione del biennio utile per il rilascio di compiuta pratica;
b) in caso di risposta negativa a quanto sub a), se sia possibile considerare utile il periodo di pratica maturato anteriormente alla interruzione, quale che sia la durata di tale interruzione, consentendo la prosecuzione della pratica alla cessazione della causa che l’ha originata, anche oltre il limite del biennio dalla data del suo inizio e fino al compimento dello stesso.
La Commissione, dopo ampia discussione, fa propria la proposta del relatore e rende il seguente parere:
“Questo Consiglio ha già avuto modo di precisare che «requisito indispensabile per il corretto e compiuto svolgimento della pratica è l’assiduità o continuità della stessa: pertanto, l’interruzione dello svolgimento della pratica per un periodo superiore a sei mesi determina, ex art. 4, u.c., R.D. 37/1934, la cancellazione del praticante dal relativo registro, rimanendo peraltro privo di effetti il periodo di pratica già compiuto» (C.N.F., sent. 4 novembre 1999, n. 207; nello stesso senso, sent. 16 maggio 1997, n. 58).
La Commissione è ben consapevole che possono esservi situazioni in cui la disposizione citata (che impone lo svolgimento ex novo della pratica per coloro che la interrompano per periodi superiori al semestre) può risultare inadeguata a fronte di talune circostanze. Tuttavia – come in altra occasione si è già osservato (cfr. parere 13 luglio 2005, n. 65) – la norma «non è suscettibile di interpretazione derogatoria, non essendovi alcun elemento testuale che autorizzi eccezioni».
Escluso, dunque, che il periodo di interruzione, per quanto astrattamente giustificato, possa ritenersi utile ai fini che interessano (soluzione sub a) proposta dal C.O.A. territoriale), deve altresì escludersi la praticabilità della soluzione prospettata sub b) per il caso di interruzione superiore al semestre, stante la rigida formulazione della norma citata.
Si può, per contro, ammettere che, in presenza di cause di interruzione infrasemestrali (adeguatamente documentate e meritevoli di considerazione), il periodo di pratica venga considerato egualmente utile, sempre che sia rispettato, in ogni caso, il numero minimo di udienze previsto dal’art. 6, lettera a), del D.P.R. 10 aprile 1990, n. 101 e – se del caso – le ulteriori disposizioni a carattere regolamentare deliberate in sede locale.
È, infine, il caso di puntualizzare che, diversamente dai casi di “interruzione”, le ipotesi di “sospensione” nello svolgimento della pratica (esempi tipici: quelli connessi alla prestazione del servizio militare o allo stato di gravidanza) non producono gli effetti sopra considerati, sicché, verificatesi le stesse, il soggetto non perde il diritto al riconoscimento del periodo di pratica già maturato.
Consiglio Nazionale Forense (rel. Baffa), parere del 23 luglio 2009, n. 28
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 28 del 23 Luglio 2009- Consiglio territoriale: COA S.M. Capua Vetere, delibera (quesito)
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