Ai sensi dell’art. 13 L. n. 247/2012, “sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa”, mentre è valida la pattuizione con cui si determini il compenso “a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione”. L’accennata dicotomia legislativa deve essere intesa nel senso che la percentuale può essere rapportata al valore dei beni o agli interessi litigiosi, ma non lo può essere al risultato. In tal senso deve infatti interpretarsi l’inciso “si prevede possa giovarsene”, che appunto evoca un rapporto con ciò che si prevede e non con ciò che costituisce il consuntivo della prestazione professionale, ditalché deve in ogni caso ritenersi illecito l’accordo sul compenso stipulato (non a monte dell’incarico professionale, ma a valle di quest’ultimo, cioè) ad incarico pressoché terminato, ovvero allorché l’an ed il quantum della fattispecie contenziosa siano già stati di fatto delineati in entrambe le sue componenti. Ed è questa la differenza tra il consentito e il non consentito, cioè legare il compenso al valore della controversia o all’esito previsto (consentito) piuttosto che al risultato (non consentito).
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Corona, rel. Corona), sentenza n. 351 del 27 settembre 2024
NOTA:
In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Stoppani, rel. Di Campli), sentenza n. 206 del 9 novembre 2022.
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 351 del 27 Settembre 2024 (accoglie)- Consiglio territoriale: CDD Firenze, delibera del 20 Settembre 2023 (archiviazione)
0 Comment