Ai fini dell’iscrizione nell’Albo degli Avvocati a norma dell’art. 17 Rdl. 1578/33 si richiede di essere di condotta specchiatissima e illibata senza che sia prevista un’automatica inibizione dell’iscrizione a carico di coloro che abbiano riportato una condanna da parte del giudice penale.
Non vi è dubbio che per l’epoca in cui la normativa fu emanata l’aver riportato una condanna penale costituiva presupposto per l’insussistenza di una condotta “specchiatissima ed illibata”.
L’evolversi, però, dei concetti e il mutamento del comune sentire modificatosi nel corso degli anni ha determinato la necessità di una valutazione della sussistenza del requisito operata di volta in volta dall’organo a cui viene richiesto il provvedimento: il COA è infatti l’unico in possesso ed a conoscenza di tutti quegli ulteriori elementi di fatto che potrebbero consentire di valutare la condotta nel suo complesso, determinando la non ostatività all’iscrizione anche di un precedente giudiziario.
Il giudizio, però, deve tenere conto che all’avvocato, quale collaboratore dell’amministrazione della giustizia e come titolare di una funzione costituzionalmente prevista, è richiesto un livello di moralità più elevato rispetto a quello del comune cittadino. Questa necessità è fissata da un lato dalle norme del codice deontologico, dall’altro nel consistente potere che la legge affida all’Ordine in tema di valutazione dei requisiti per l’iscrizione all’albo.
Nel quesito, più specificatamente, il COA richiedente segnala che il professionista è stato giudicato con sentenza di applicazione di pena su richiesta (art. 444 c.p.p.) specificando anche il reato per il quale intervenne il giudizio penale.
Orbene, dal momento che la sentenza pronunciata ex art. 444 c.p.p. è a tutti gli effetti sentenza di condanna, il professionista per effetto di tale pronuncia deve ritenersi gravato da un precedente – esercizio abusivo delle professione forense – che proprio per la sua natura in linea di principio osterebbe alla reiscrizione; tuttavia la fattispecie va valutata anche alla luce dei benefici che conseguono a una pronuncia ex art. 444 c.p.p. e, tra questi, la estinzione ex art. 445 secondo comma. Al riguardo occorre tenere presente che l’estinzione del reato conseguente al decorso del termine ed al verificarsi o sussistere delle condizioni di cui all’art. 445 c.p.p. non comporta anche l’eliminazione della sentenza dal casellario giudiziale dal momento che tale conseguenza è prevista solo per i reati di competenza del Giudice di Pace tra cui non rientra quello per il quale il professionista ha riportato condanna. Ne consegue, quindi, che, ai fini di valutazione dei requisiti per l’iscrizione, l’estinzione del reato va valutata attraverso un’autonoma valutazione di tutti gli elementi fattuali desumibili dal giudizio penale conclusosi con la condanna valutati unitamente agli altri e diversi elementi desumibili aliunde che costituiscono patrimonio di conoscenza esclusiva del Consiglio dell’Ordine presso cui è chiesta l’iscrizione.
Pertanto la situazione indicata nel quesito dovrà essere valutata dall’Ordine medesimo, che potrebbe procedere all’iscrizione solo ove ritenesse che, nonostante il precedente penale, il soggetto possa ritenersi comunque di “condotta specchiatissima ed illibata”.
Conseguentemente, la Commissione ritiene che afferendo il precedente a requisito la cui valutazione è di stretta competenza del Consiglio presso cui è chiesta l’iscrizione, solo a questo spetta la valutazione di merito per assentire o denegare alla richiesta iscrizione.
Consiglio Nazionale Forense (rel. Morlino), parere del 28 marzo 2012, n. 16
Quesito n. 132
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 16 del 28 Marzo 2012- Consiglio territoriale: COA Sciacca, delibera (quesito)
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