L’avvocatura difende, da sempre, i diritti degli ultimi e dei perseguitati: le offese razziste ed omofobe pubblicate sui social non sono scriminate dal diritto di critica politica

Sono disciplinarmente rilevanti, perché contrarie ai basilari principi di probità, dignità e decoro (che devono guidare l’avvocato anche al di fuori dell’esercizio della professione forense e quindi pure nell’utilizzo dei social media), le affermazioni razziste e omofobe, che in quanto tali non possono ritenersi scriminate dal diritto di critica poiché eccedenti limiti della continenza. Peraltro, benché i discorsi, gli scritti e in generale gli atti politici siano sottratti al sindacato disciplinare (art. 39 RDL n. 1578/1933), il professionista incontra sempre, oltre alle norme civili e penali che qualificano la condotta come illecita, anche il limite delle norme di correttezza professionale, sicché frasi razziste ed omofobe non possono mai considerarsi manifestazione di attività politica o pubblicistica, ma espressioni profondamente lesive della dignità e del decoro professionale e perciò illecite sotto il profilo disciplinare. Diversamente, si verificherebbe la produzione di un grave danno a tutta la categoria forense, con inescusabile lesione al decoro della professione, da sempre caratterizzata per la difesa dei diritti degli ultimi e dei perseguitati.

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Corona, rel. Rivellino), sentenza n. 214 del 27 maggio 2024

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 214 del 27 Maggio 2024 (respinge) (censura)
- Consiglio territoriale: CDD Bologna, delibera del 26 Gennaio 2023 (censura)
Giurisprudenza CNF

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