Il dovere deontologico stabilito dall’art. 14 ncdf (secondo cui l’avvocato non deve accettare incarichi che non sia in grado di svolgere con adeguata competenza) non può valere a fare sindacare tout court, sotto il profilo della responsabilità disciplinare, l’attività prestata dall’avvocato e le relative scelte tecniche, ma solo negli aspetti più macroscopici, ovvero in presenza di condotte professionali platealmente divergenti da quelle esigibili in concreto, sì da far ritenere l’assoluta inesistenza della sua “competenza”, intesa come mancanza in concreto di capacità professionale (Nel caso di specie, il professionista chiedeva – con atto giudicato confuso, disarticolato e contraddittorio – la reintegra della lavoratrice non ammissibile in relazione alle dimensioni aziendali. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della censura).
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Geraci), sentenza del 2 maggio 2016, n. 98
NOTA:
In arg. cfr. pure, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Salazar, rel. Baffa), sentenza del 7 aprile 2016, n. 54, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Damascelli), sentenza del 30 aprile 2012, n. 89.
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 98 del 02 Maggio 2016 (respinge) (censura)- Consiglio territoriale: COA Lucca, delibera del 18 Maggio 2012 (censura)
- Decisione correlata: Corte di Cassazione n. 25633 del 14 Dicembre 2016 (respinge)
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