Nell’ambito della propria attività difensiva, l’avvocato deve e può esporre le ragioni del proprio assistito con rigore, utilizzando tutti gli strumenti processuali di cui dispone, ma il diritto della difesa incontra un limite insuperabile nella civile convivenza, nel diritto della controparte o del giudice a non vedersi offeso o ingiuriato. Pertanto, la tutela del diritto di difesa e critica, il cui esercizio non può travalicare i limiti della correttezza e del rispetto della funzione, non può tradursi, ai fini dell’applicazione della relativa “scriminante”, in una facoltà di offendere, dovendo in tutti gli atti ed in tutte le condotte processuali rispettarsi il dovere di correttezza, anche attraverso le forme espressive utilizzate (Nel caso di specie, in un proprio atto giudiziario l’avvocato sosteneva che il collega di controparte fosse una “persona che si è dimostrata in ogni occasione, dispotica, saccente, grintosa, di sola intelligenza e fonte esclusiva dello scibile umano”, affermando altresì che la difesa avversaria fosse tanto errata ed infondata da costituire frode processuale).
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Salazar, rel. Amadei), sentenza del 20 febbraio 2016, n. 20
NOTA:
In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Tacchini), sentenza del 10 giugno 2014, n. 85.
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 20 del 20 Febbraio 2016 (respinge) (censura)- Consiglio territoriale: COA Pescara, delibera del 13 Luglio 2012 (censura)
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