Deve escludersi l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 RDL 1578/33 nella parte in cui stabilisce, in asserita violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), l’incompatibilità professionale con riferimento ai rapporti di impiego e non anche a quelli che si instaurano per effetto della svolgimento da parte dell’avvocato di mansioni politiche e rappresentative, giacché la ragione(volezza) della differenziazione sta nell’esigenza, da un lato, di tutelare il buon andamento e l’imparzialità dell’attività della pubblica amministrazione nonché il valore espresso dall’obbligo di fedeltà del dipendente pubblico e, dall’altro, di preservare i principi di autonomia, indipendenza, dell’obbligo di difesa e di fedeltà agli interessi del cliente che caratterizzano la professione forense; beni questi ultimi che sarebbero messi a repentaglio nel caso di contemporaneo esercizio dell’attività di dipendente pubblico e di avvocato e che, per il motivo inverso, non lo sono nel caso di esercizio di una funzione pubblica elettiva, sicché le situazioni oggetto di comparazione non sono, in definitiva, affatto uguali.
NOTA:
In arg., cfr. ora l’art. 18, lett. d, nuova Legge Professionale (in attesa di pubblicazione nella GU), secondo cui “La professione di avvocato è incompatibile […] con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato”.
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 183 del 20 Dicembre 2012 (respinge) (cancellazione amm.va)- Consiglio territoriale: COA Roma, delibera del 09 Novembre 2007 (cancellazione amm.va)
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