Nell’ambito della propria attività difensiva, l’avvocato deve e può esporre le ragioni del proprio assistito con ogni rigore utilizzando tutti gli strumenti processuali di cui dispone e ciò massimamente nella fase dell’impugnazione, atto diretto a criticare anche severamente una precedente decisione giudiziale e ciò rappresentando con la maggiore efficacia possibile la carenza di motivazione del provvedimento impugnato. Il diritto di critica, tuttavia, non deve mai travalicare in una censurabile deplorazione dell’operato del difensore, delle controparti e del giudicante, incontrando il limite del divieto di utilizzare espressioni sconvenienti ed offensive che violino i principi posti a tutela del rispetto della dignità della persona e del decoro del procedimento, e soprattutto del rispetto della funzione giudicante riconosciuta dall’ordinamento con norme di rango costituzionale nell’interesse pubblico, con pari dignità rispetto alla funzione della difesa (Nel caso di specie, l’avvocato impugnava la sentenza definendola di una “superficialità disarmante” affermando inoltre che il Giudice aveva reso la pronuncia “senza dar conto di avere nemmeno sfogliato la copiosa documentazione prodotta” e, infine, che “chiunque si fosse dato la pena di leggere la documentazione prodotta dall’imputato (con un minimo di buona fede e leale volontà di comprenderne il contenuto) non avrebbe potuto sostenere che non vi fosse la prova di credito dell’imputato nei confronti della mandante”. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare dell’avvertimento).
Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Labriola), sentenza del 28 dicembre 2018, n. 221
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 221 del 28 Dicembre 2018 (respinge) (avvertimento)- Consiglio territoriale: COA Brescia, delibera del 25 Giugno 2012 (avvertimento)
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