1. Sono pervenute a questa Commissione numerose richieste di parere relative alla sorte dell’istituto del giuramento del praticante abilitato al patrocinio, previsto dall’art. 8, comma 3, RDL 1578/1933, a seguito dell’entrata in vigore della riforma dell’ordinamento forense (legge 247/2012).
2. La disciplina del tirocinio forense di cui alla legge n. 247/2012 è sensibilmente diversa da quella di cui al RdL n. 1578/1933. Il nuovo tirocinio si svolgerà attraverso la frequenza (con profitto) di corsi di formazione specifici, oltre che la pratica in uno studio professionale (art. 43, co. 1); è più severo il regime delle incompatibilità: se prima il tirocinio, in linea di principio, era compatibile con rapporti di lavoro subordinato, il nuovo prevede espressamente che le modalità e gli orari propri del rapporto di lavoro subordinato “siano idonei a consentirne l’effettivo e puntuale svolgimento, e in assenza di specifiche ragioni di conflitto di interesse”. La ratio è quella di rafforzare il percorso formativo dell’aspirante avvocato, chiamato, ora, ad una scelta consapevole ed impegnativa, tendenzialmente incompatibile con altri percorsi di qualificazione professionale e/o esperienze lavorative. Ulteriori, significative, differenze consistono nella diversa durata (diciotto mesi) e nella possibilità di svolgimento (per non più di sei mesi) in concomitanza con la frequenza dell’ultimo anno del corso di laurea in giurisprudenza (art. 41, co. 6, lett. c).
3. Significativamente diversa è anche la disciplina dell’abilitazione al patrocinio del praticante.
Cambiano la durata (5 anni invece che 6), il momento in cui l’abilitazione può essere concessa (dopo sei mesi, invece che dopo un anno), ma, più in generale, è la stessa funzione dell’istituto a mutare, con il conseguente regime delle responsabilità: se in precedenza le attività poste in essere dal praticante abilitato erano imputabili esclusivamente a questi, e l’abilitazione al patrocinio si poneva come una sorta di anticipazione dell’attività forense, seppure in ambiti materialmente limitati, con la riforma l’abilitazione al patrocinio costituisce una forma di attività sostitutiva di quella del dominus, alla quale, comunque, accede. Il praticante abilitato, infatti, ai sensi dell’art. 41 co. 12, “può esercitare attività professionale in sostituzione” del dominus “e, comunque, sotto il controllo e la responsabilità dello stesso (non vale ad esimere il dominus dall’obbligo di controllo e dalla conseguente responsabilità neanche la circostanza che si tratti di “affari non trattati direttamente” da questi).
Si deve pertanto ritenere che la previgente disciplina del tirocinio sia stata abrogata per effetto di una nuova e diversa regolazione della materia, e che, del pari, sia stata abrogata la previgente disciplina concernente l’abilitazione al patrocinio del praticante, anche in questo caso per nuova regolazione della materia (ferma restando la disposizione transitoria di cui all’art. 48, comma 1, l. 247, dei cui effetti si dirà a breve).
4. La riforma non contiene , peraltro, espresse disposizioni a proposito del giuramento del praticante abilitato, né per ciò che concerne la fase transitoria (fino al 31 dicembre 2014), né per ciò che concerne il pieno funzionamento a regime del nuovo tirocinio.
Prima facie potrebbe ritenersi che la legge n. 247/2012 abbia inteso sopprimere tout court il giuramento del praticante abilitato, prima previsto come “condizione per l’esercizio del patrocinio” (art. 8, co. 3, RDL 1578/1933), mentre ora la nuova norma dispone più semplicemente che “l’abilitazione decorre dalla delibera di iscrizione nell’apposito registro”. Tale conclusione (frutto della predetta interpretazione letterale) potrebbe risultare avvalorata dal descritto mutamento di significato e di funzione dell’istituto dell’abilitazione al patrocinio, ma potrebbe parimenti apparire poco persuasiva, se si osserva che il praticante abilitato può, comunque, assumere il patrocinio in giudizio di un determinato soggetto, seppur sotto il controllo del dominus, per cui si rende tramite dell’esercizio in concreto di un diritto costituzionale inviolabile (art. 24 Cost.). Sembrerebbe incoerente con i principi informatori della riforma ritenere che chi assume la difesa in giudizio di un soggetto non è tenuto ad alcuna formale assunzione di impegno che lo richiami moralmente, prima ancora che giuridicamente, al rispetto dei doveri del difensore, atteso che “l’ordinamento forense, stante la specificità della funzione difensiva e in considerazione della primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è preposta: a) regolamenta l’organizzazione e l’esercizio della professione di avvocato… onde garantire la tutela degli interessi individuali e collettivi sui quali essa incide (…)” (art. 1, comma 2, l. 247).
5. Parallelamente appare arduo sostenere che del previgente istituto dell’abilitazione al patrocinio regolato dall’art. 8, RDL n. 1578/1933, sopravviva, a regime, solo la previsione relativa al giuramento del praticante, che dovrebbe continuare a prestarlo di fronte al presidente del tribunale.
In tal caso non vi sarebbe sintonia con l’impegno solenne dell’avvocato di fronte al COA previsto ora dall’art. 8 L. n. 247/2012; impegno che ha lo stesso contenuto materiale del “vecchio” giuramento, giacché consiste, appunto, nella promessa di adempiere i doveri della professione “con lealtà, onore e diligenza” e “per i fini della giustizia” (i contenuti materiali delle due formule di cui all’art. 8 RdL n. 1578/1933l e all’art. 8 L. n. 247/2012 sono pressoché identici). Appare anche in questo caso non costituzionalmente conforme una soluzione interpretativa che ipotizzi due diverse modalità di impegno solenne/giuramento, l’una per gli avvocati di fronte al COA e l’altra per i praticanti abilitati di fronte al presidente del tribunale, riservando per di più proprio al praticante abilitato, che pure gode di un patrocinio ben più limitato dell’avvocato, una forma giuridica (apparentemente) più solenne.
6. Sembra pertanto preferibile una soluzione interpretativa basata sull’applicazione analogica al praticante abilitato della disciplina dell’impegno solenne prevista per l’avvocato; metodo, questo dell’analogia, consentito dalla sussistenza di una lacuna (quella relativa alla mancata previsione di giuramenti o impegni da prestare da parte del praticante abilitato) e dall’eadem ratio posto che in tutti e due i casi si assiste all’esercizio, comunque, di un’attività professionale, a prescindere dalle differenze quantitative e qualitative sopra descritte. Sulla base di questa soluzione, a regime, e cioè a partire dal 1° gennaio 2015, anche il praticante abilitato dovrebbe assumere l’impegno solenne innanzi al COA al pari dell’avvocato. Sarà senz’altro opportuno, in ogni caso, che il decreto ministeriale che, ai sensi dell’art. 41, comma 13, l. cit., disciplinerà “le modalità di svolgimento del tirocinio” si faccia carico di chiarire in via definitiva tale questione, anche alla luce della necessaria consultazione del Consiglio nazionale forense, che non mancherà di far presente le descritte difficoltà interpretative.
7. Per quanto attiene, invece, al regime transitorio, va anzitutto considerato che l’art. 48 (rubricato “disciplina transitoria per la pratica professionale”) dispone la proroga dell’efficacia delle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della riforma, con l’unica eccezione della riduzione a diciotto mesi del periodo complessivo del tirocinio. Fino allo spirare del secondo anno successivo all’entrata in vigore della nuova legge (art. 48, co. 1, cit.), perciò, le pur abrogate (per nuova regolazione della materia) regole afferenti il tirocinio – e, dunque, anche quelle concernenti l’abilitazione del praticante – continuano a doversi applicare. Ne dovrebbe derivare la provvisoria sopravvivenza del “vecchio” istituto dell’abilitazione al patrocinio, compresa la necessità del giuramento innanzi al presidente del tribunale..
Del resto, alla stessa conclusione si giunge anche a non voler ritenere operante, per il caso specifico, la regola dell’art. 48, co. 1 cit che, a ben vedere, discorre di sopravvivenza delle disposizioni vigenti relative allo “(…) accesso all’esame di abilitazione all’esercizio della professione”; inciso che, concernendo formalmente il solo esame e le sue regole per l’accesso, consentirebbe di ritenere non comprese nel recinto operativo della disciplina transitoria le norme sull’abilitazione, estranee, come tali, alla questione dell’accesso all’esame. Ma non per questo sarebbe legittima la conclusione di chi, per effetto di questa lettura dell’art. 48, co. 1 cit., ritenesse immediatamente applicabile la nuova disciplina sull’abilitazione. Quest’ultima, infatti, costituisce pur sempre un segmento di quella nuova sulla pratica forense, collegato ad essa in chiave non di semplice occasionalità, ma funzionale; quando infatti la norma dell’art. 41, co. 12 l. cit. ammette l’esercizio dell’attività professionale sotto forma di abilitazione provvisoria dopo soli sei mesi all’inizio della pratica, ciò consente “(…) nel periodo di svolgimento del tirocinio” e quest’ultimo non può che essere quello riconfigurato dalle disposizioni dei commi precedenti da 1 ad 11. La precisazione che sempre il cit. comma 12 effettua sulla necessità del possesso della laurea in giurisprudenza da parte del tirocinante che intenda conseguire l’abilitazione, ha un senso sol perché si collega a quanto previsto dal comma 6, lett. d) art. 41 cit. al cui tenore anche chi non sia un laureato in giurisprudenza può iscriversi nel registro dei praticanti nel caso lì previsto. In buona sostanza, similmente ad altri istituti della nuova legge come la prescrizione o la sospensione cautelare che risultano interamente riconfigurati, non è possibile predicare l’entrata in vigore immediata di spezzoni della disciplina avulsi dal contesto cui ineriscono ed al quale si legano in rapporto di dipendenza funzionale, costituendo la norma un tutt’uno inscindibile sì che le sue singole proposizioni non possono né interpretarsi né applicarsi l’una a prescindere dall’altra. Ne deriva che, dipendendo l’applicazione in concreto di alcune importanti regole del nuovo tirocinio dall’emanazione del DM previsto dal comma 13, esso (nuovo tirocinio) non è immediatamente operativo.
Se sino all’emanazione del DM di cui sopra si applica per tutto il periodo transitorio la vecchia disciplina concernente la pratica, compresa l’abilitazione provvisoria al patrocinio (ma esclusa la durata, già disciplinata dall’art. 9 del DL 1/2012), la conseguenza è che per i praticanti che conseguissero l’abilitazione provvisoria al patrocinio medio tempore (secondo il vecchio modello) resta in vigore l’obbligo del giuramento innanzi al presidente del tribunale ex art. 8 RdL n. 1578/1933. Anche se ciò reca con sé una discrasia col regime dell’impegno solenne che sin da subito sono tenuti a prestare, invece, gli avvocati cui – seppur con le debite distinzioni – possono essere equiparati dal lato funzionale i praticanti abilitati.
Tutto ciò dimostra che nessuna interpretazione, tra le varie plausibili, si presenta priva di controindicazioni seppur quella che considera in vigore il sistema del giuramento innanzi al presidente del tribunale si presenta come la più coerente, dal lato formale e funzionale, col dato normativo.
Onde non è inopportuno, anche alla luce delle conseguenze teoricamente ricollegabili alla scelta tra l’uno e l’altro sistema, formulare il consiglio di far assumere ai praticanti abilitati anche l’impegno solenne innanzi al COA. Soluzione, quest’ultima che risulta sia stata scelta da qualche consiglio dell’ordine che ha indetto una cerimonia unica presso la propria sede nel corso della quale i praticanti giurano innanzi al presidente del tribunale convocato per l’occasione ed assumono poi l’impegno solenne di cui si parla.
Si tratta di una soluzione organizzativa che, nell’oggettiva oscurità del quadro normativo vigente, presenta indubbiamente il vantaggio pratico di realizzare in un unico momento entrambe le modalità di espressione dell’impegno solenne/giuramento; soluzione che, ovviamente, richiede un concerto con l’autorità giudiziaria locale.
Consiglio Nazionale Forense (rel. Perfetti), parere del 22 maggio 2013, n. 52
Quesito n. 220, COA di Verona
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 52 del 22 Maggio 2013- Consiglio territoriale: COA Verona, delibera (quesito)
0 Comment