In tema di responsabilità disciplinare dell’avvocato, in base dell’art. 4 del nuovo codice deontologico forense, la coscienza e volontà consistono nel dominio anche solo potenziale dell’azione o omissione, per cui vi è una presunzione di colpa per l’atto sconveniente o vietato a carico di chi lo abbia commesso, il quale deve dimostrare l’errore inevitabile, cioè non superabile con l’uso della normale diligenza, oppure la sussistenza di una causa esterna, mentre non è configurabile l’imperizia incolpevole, trattandosi di professionista legale tenuto a conoscere il sistema delle fonti. Conseguentemente, l’agente resta scriminato solo se vi sia errore inevitabile, cioè non superabile con l’uso della normale diligenza, oppure se intervengano cause esterne che escludono l’attribuzione psichica della condotta al soggetto. Ne deriva che non possa parlarsi d’imperizia incolpevole ove si tratti di professionista legale tenuto a conoscere il sistema delle fonti e quindi in grado, quale operatore qualificato di conoscere e interpretare correttamente l’ordinamento giudiziario e forense, mentre unicamente l’inconoscibilità incolpevole della disciplina di riferimento può escludere la colpa in capo all’agente.
Consiglio Nazionale Forense (pres. Greco, rel. Patelli), sentenza n. 177 del 20 settembre 2023
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 177 del 20 Settembre 2023 (respinge) (sospensione)- Consiglio territoriale: CDD Venezia, delibera n. 53 del 13 Settembre 2019 (sospensione)
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