La Commissione, dopo ampia discussione, fa propria la proposta del relatore e rende il seguente parere:
“La questione è stata oggetto di svariati pronunciamenti di questo Consiglio.
La Commissione osserva in via generale che la disciplina statale sull’accesso ai documenti amministrativi, di cui al capo V della legge 7 agosto 1990 n. 241, si applica anche agli Ordini professionali, che, avendo natura di pubbliche amministrazioni, indipendenti e autonome, sono soggetti a tale disciplina e devono dotarsi del regolamento dell’art. 24, comma 2, della legge medesima, per individuare le categorie di documenti, da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità, sottratti all’accesso, per le esigenze di cui al comma 2 dello stesso articolo. Ne deriva che il diritto all’accesso è un vero e proprio diritto soggettivo e che le ipotesi di esclusione all’accesso costituiscono eccezioni, tassativamente elencate nel comma 2 dell’art. 24, cui i regolamenti devono adeguarsi nell’indicazione dei documenti da sottrarre alla regola. Il diritto di accesso, peraltro, incontra dei limiti soggettivi, potendo essere esercitato solo quando sussiste un’esigenza concreta ed attuale dell’interessato alla tutela delle sue situazioni giuridicamente rilevanti, a sensi del primo comma dell’art. 22 (Cons. St., sez. IV, 24.2.2000 n. 984). Giova precisare, in proposito, che la legittimazione va accertata caso per caso, ai sensi del citato art. 22, per i soggetti che sono terzi rispetto al procedimento e non per i soggetti di cui all’art. 10.
Parafrasando due recenti decisioni del Consiglio di Stato (Sez. IV, 29.4.2002 n. 2283 e 6.10.2001 n. 5291), va detto che, in ogni caso, il diritto di accesso non si configura come una sorta di azione popolare diretta a consentire una forma di controllo generalizzato sull’Amministrazione. Tale indirizzo trova sviluppo nella normazione secondaria attuativa dei principi di cui al citato art. 24.
L’art. 2 D.P.R. 27.6.1992 n. 352 (Regolamento per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi, in conformità all’art. 24, comma 2, della L. n. 241/1990) attribuisce il diritto di accesso a chiunque abbia “un interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”.
A fronte del diritto di accesso, si pone, nel caso di specie, un altro diritto soggettivo pieno, il diritto alla riservatezza, dotato di copertura costituzionale (cfr. art. 2, e art. 14 Cost.).
Già lo stesso art. 24 della legge 241/1990, al comma 2, prevede che il diritto di accesso incontri un limite nel diritto alla riservatezza, declinando peraltro il limite medesimo in termini relativi; se, infatti, altri limiti quali la sicurezza, la difesa nazionale, la politica monetaria e valutaria, l’ordine pubblico etc. etc. porterebbero alla negazione, nel caso concreto, del diritto di accesso, la lettera d) del citato comma 2 dispone che, in relazione all’esigenza di salvaguardare la riservatezza di terzi il diritto di accesso può essere escluso “….garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici”. Mera visione, dunque, e non diritto di estrarre copia degli atti.
Il complesso quadro giuridico riferito va completato con la disamina dei più recenti esiti della giurisprudenza amministrativa in materia, la quale, nell’impossibilità di fissare in via generale ed astratta criteri di composizione di conflitti tra interessi tutti costituzionalmente fondati, ha sancito la necessita di una ponderazione concreta e specifica caso per caso, a cura dell’amministrazione interessata, e, nel caso, del giudice stesso.
Con decisione n. 5873, resa in data 4 maggio – 7 settembre 2004, la sez. V del Consiglio di Stato “…rimette la soluzione del contrasto tra il diritto di accesso e quello alla riservatezza alla ponderazione comparativa da effettuarsi in concreto, in primo luogo, dall’amministrazione ed eventualmente, in sede di controllo, dal giudice amministrativo adito ai sensi dell’art. 25 legge 241/1990….Tale soluzione comparativa può comportare che il diritto posto a base della istanza estensiva, pur se in astratto subvalente rispetto a quello della riservatezza, risulti in concreto prevalente su quest’ultimo…”.
La Commissione consultiva non può pertanto che fornire al Consiglio dell’ordine la propria ricostruzione dei termini giuridici della questione, così come descritti nel presente parere, senza peraltro sostituirsi nell’opera di prudente bilanciamento tra interessi concreti cui l’ordine, quale amministrazione competente, è chiamato nel caso di specie.
Non può trascurarsi la circostanza che è intervenuta, assai recentemente, un’importante innovazione legislativa, ossia l’ampia riforma del procedimento amministrativo e del diritto d’accesso agli atti, introdotta con la l. 11 febbraio 2005, n. 15.
La nuova normativa, che interviene novellando il testo della legge 241/1990, risponde alla necessità di dare maggiore specificazione precettiva ai principi generali che governano l’attività amministrativa.
In tal senso si registra l’inclusione della “trasparenza” tra i principi generali: essa va ad affiancare economicità, efficacia e pubblicità (art. 1), dimostrando così un chiaro favore del legislatore per la conoscibilità dei procedimenti decisionali e del relativo iter logico e documentale.
Tuttavia la legge di riforma interviene anche sulla disciplina specifica dell’accesso ai documenti, anche se le nuove norme non sono attualmente in vigore e diverranno operanti solo dopo l’emanazione di apposito regolamento (art. 23, l. 15/2005).
È assai auspicabile che l’Esecutivo, nel disciplinare i casi di deroga al generalizzato diritto d’accesso tenga in debito conto le ragioni della tutela del decoro personale e professionale, valori assai delicati e che rischiano di essere danneggiati da una diffusione eccessivamente ampia degli atti del procedimento disciplinare. D’altronde la stessa legge prevede tra le ragioni di possibile deroga al diritto d’accesso, con formula più ampia rispetto al testo finora in vigore, proprio i casi in cui «i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari» (art. 24, l. 241/1990 novellato).
In ogni caso, a diritto vigente, si ribadisce la centralità dell’Ordine nel considerare i contrapposti interessi in gioco, valutando sia le ragioni dell’accesso alla giustizia (di chi intende acquisire i documenti relativi al procedimento disciplinare) che quelle della riservatezza dell’incolpato; queste ultime divengono, nello spirito della normativa attuale e futura, sempre più invalicabili mano a mano che si avvicinano al nucleo privato della persona, come è dimostrato dal regime di tutela, particolarmente intenso, riservato ai cosiddetti “dati sensibili” (art. 60, d. lgs. 196/2003).
Deve, da ultimo, notarsi che la comunicazione della sola decisione è assai meno suscettibile di ledere i diritti di riservatezza rispetto alla divulgazione dei documenti acquisiti nel corso del procedimento. In tal senso il Consiglio dell’Ordine potrà legittimamente rifiutare la consegna di copia della decisione solo ove sussistano gravi e comprovati elementi tali da far ritenere che la riservatezza ed il decoro dell’incolpato sarebbero gravamente pregiudicati dalla conoscenza del documento.”
Consiglio Nazionale Forense (rel. Perfetti), parere del 13 luglio 2005, n. 63
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 63 del 13 Luglio 2005- Consiglio territoriale: COA Vigevano, delibera (quesito)
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