La Commissione, dopo ampia discussione, delibera il seguente parere:
“Allo stato attuale la legislazione professionale non prevede alcuna estensione al praticante delle situazioni di incompatibilità previste per gli avvocati.
Si deve confermare, peraltro, che le ipotesi di incompatibilità devono essere di stretta interpretazione, posto che pongono sostanziali limitazioni ai diritti dei singoli.
Ciò premesso, non può escludersi che vi siano situazioni nelle quali, in concreto, il soggetto sia sottoposto ad obblighi gerarchici o di condotta di tale intensità da risultare non coniugabili con i doveri di indipendenza e riservatezza che sono imposti anche al praticante avvocato. Questo è il caso, che si è posto nel passato, della possibilità di svolgere la pratica per militari in servizio nei Carabinieri o nella Guardia di Finanza, nei confronti dei quali vige un obbligo di denuncia di fatti di reato comunque appresi ed un intenso vincolo di subordinazione gerarchica. (cfr. parere 14 aprile 2000, n. 124, in I pareri del Consiglio Nazionale Forense (1998-2000), Milano 2001, p. 97)”.
A ciò si aggiunge la circostanza che i praticanti che esercitano altresì un’attività per la quale la legge prevede un’incompatibilità con la professione forense non possono ottenere l’abilitazione al patrocinio (cfr. parere 24 marzo 2000, n. 121, ivi, p. 95).”.
Consiglio Nazionale Forense (rel. Morgese), parere del 14 dicembre 2005, n. 93
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 93 del 14 Dicembre 2005- Consiglio territoriale: COA Pescara, delibera (quesito)
0 Comment