La Commissione, dopo ampia discussione, fa propria la proposta del relatore e rende il seguente parere:
“Rispetto al primo punto sollevato dall’Ordine fiorentino, si conferma quanto già espresso dalla Commissione sul punto. In particolare la questione è stata oggetto di attenta disamina nel parere 20 febbraio 2008, n. 9, da ultimo confermato con il parere 28 ottobre 2009, n. 38.
Ivi si chiarisce che le istituzioni dell’Avvocatura devono valorizzare e tutelare la funzione formativa dell’abilitazione provvisoria concessa al praticante, evitando il più possibile che essa si tramuti in uno strumento per l’esercizio surrettizio della professione a prescindere dal superamento del prescritto esame di Stato.
Pertanto si ritiene ammissibile la permanenza del praticante nel relativo registro anche oltre la data del conseguimento del certificato di compiuta pratica (anche sulla scorta di una cospicua giurisprudenza amministrativa formatasi sul punto), mentre è necessario garantire con rigore il rispetto del periodo sessennale di abilitazione al patrocinio consentito dalla legge, trattandosi di norma a carattere derogatorio. Pertanto il praticante interessato ad acquisire il patrocinio provvisorio dovrà richiederlo e svolgerlo integralmente entro il periodo di sei anni decorrenti dal primo giorno del secondo anno di pratica. Risulterà, per converso, ininfluente la circostanza che il praticante sia stato cancellato e poi reiscritto nel registro, poiché l’abilitazione – anche richiesta successivamente al secondo anno di prativa – verrà comunque meno allo scadere del sesto anno decorrente dal primo momento nel quale il patrocinio poteva essere richiesto.
Circa la secondo questione posta, invece, se opina che il praticante abilitato possa svolgere attività nel proprio interesse, mantenendosi rigorosamente nei limiti a lui consentiti dalla legge e fermo restando l’adempimento di tutti gli obblighi formativi ordinariamente incombenti ai praticanti. Ove intendesse prestare la propria opera al di fuori dello studio dell’avvocato dominus dovrà prestare particolare attenzione ad evitare comunicazioni all’esterno che creino equivoci sulla natura dello “studio”, poiché la spendita del titolo di “avvocato”, del nome “studio legale” e la messa in atto di ogni altra tecnica idonea ad indurre la clientela in errore (portandola cioè a ritenere di aver a che fare con un professionista abilitato in via definitiva), si configurano come illecito deontologico e – sussistendone i presupposti di legge – anche come reato.”
Consiglio Nazionale Forense (rel. Allorio), parere del 21 luglio 2010, n. 44
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 44 del 21 Luglio 2010- Consiglio territoriale: COA Firenze, delibera (quesito)
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