Il dovere di verità e lealtà dell’avvocato, fuori e dentro il processo

Laddove l’avvocato si trovi nella condizione di non poter seguire allo stesso tempo verità e mandato, leggi e cliente, la sua scelta deve privilegiare il più alto e pregnante dovere radicato sulla dignità professionale, ossia l’ossequio alla verità ed alle leggi spinto fino all’epilogo della rinunzia al mandato in virtù di un tale giusto motivo, astenendosi dal porre in essere attività che siano in contrasto con il prevalente dovere di rispetto della legge e della verità ex art. 50 cdf (già art. 14 codice previgente), che ispira la funzione difensiva in coerenza con il dovere di lealtà espressamente previsto dall’art. 3 L. n. 247/2012 con riferimento alla professione forense in generale, nonché dall’art. 88 cpc con specifico riguardo al processo.

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Salazar, rel. Pardi), sentenza del 22 novembre 2018, n. 142

NOTA:
In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Morlino), sentenza del 22 ottobre 2010, n. 103.

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 142 del 22 Novembre 2018 (accoglie) (censura)
- Consiglio territoriale: COA Trento, delibera del 10 Novembre 2014 (sospensione)
- Decisione correlata: Corte di Cassazione n. 33373 del 17 Dicembre 2019 (respinge)
abc, Giurisprudenza CNF

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