Il dovere di verità dell’avvocato sussiste anche fuori dal processo

Stante la c.d. “tendenziale” tipicità dell’illecito deontologico, l’art. 50 cdf (che disciplina il dovere di verità dell’avvocato nel processo stabilendo il divieto di ivi introdurre elementi di prova o documenti che egli sappia essere falsi) può costituire valido criterio e quindi parametro per la repressione di illeciti disciplinari atipici aventi analoghe caratteristiche, come nel caso in cui i falsi riguardino atti e documenti estranei al processo, e ciò alla luce dei principi generali di cui agli artt. 1 co. 3, 9 e 11 del CDF, i quali evocano la funzione sociale, nonché i doveri di lealtà, probità, correttezza e decoro dell’avvocato (Nel caso di specie, l’avvocato aveva consegnato al cliente un verbale di udienza e ben due assegni falsi).

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Corona, rel. Gagliano), sentenza n. 127 del 8 aprile 2024

NOTA:
In senso conforme, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Amadei), sentenza n. 9 del 15 aprile 2019

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 127 del 08 Aprile 2024 (respinge) (sospensione)
- Consiglio territoriale: CDD Roma, delibera del 22 Settembre 2022 (sospensione)
abc, Giurisprudenza CNF

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