Onde dare compiuto riscontro al suddetto quesito, sono opportune alcune premesse.
1. Innanzitutto, si precisa che l’attività di «credito ai privati su pegno» esercitata da un finanziatore ovvero da un intermediario del credito ha certamente natura commerciale, trattandosi di attività di intermediazione della circolazione di servizi di credito. Altro discorso è quello se a tale attività sia o meno applicabile la disciplina del credito ai consumatori ai sensi e per gli effetti degli art. 122 e ss. TUB; ed infatti, la circostanza che una simile disciplina non si applichi al caso in cui “i finanziamenti garantiti da pegno su un bene mobile, se il consumatore è obbligato per un ammontare inferiore al valore del bene costituito in pegno” (art. 122, lett. l, TUB) non significa certo che, comunque, l’attività rientrante in tale ambito esuli dall’alveo dell’attività commerciale; è vero, invece, il contrario, visto che l’attività di esercizio del credito è eminentemente un’attività di natura commerciale (peraltro, propriamente rivolta al lucro a prescindere dalla garanzia rilasciata da colui che richiede ed ottiene il credito dal finanziatore ovvero dall’intermediario);
2. Si osserva altresì che il CNF:
– con parere n. 28 del 24 maggio 2012, precedente rispetto all’entrata in vigore della legge professionale del 2012 e riferito all’art. 3 R.D.L. 27/11/1933 n. 1578, a norma del quale l’esercizio della professione forense è incompatibile “con l’esercizio del commercio in nome proprio ed altrui”, ha sostenuto la sussistenza dell’incompatibilità tra l’esercizio della professione forense e la carica di Amministratore Unico di una società di capitali, di esclusiva proprietà dei soci dello studio legale, il cui unico cespite sia costituito dalla proprietà dell’immobile ove l’associazione professionale esercitava l’attività, tra l’altro evidenziando che “L’immobile nel quale è allocato lo studio associato e/o l’associazione costituisce quindi una parte dell’ampia organizzazione volta a fornire al cliente quella prestazione intellettuale cui concorrono i soci, i collaboratori, i dipendenti, i macchinari ed i beni di consumo e “pur non essendo di per sé suscettibile di produrre reddito in senso stretto” vi concorre in via mediata e con tutti gli altri elementi che costituiscono l’organizzazione dello studio legale associato: non è quindi un “immobile merce” ma un “immobile strumentale” per natura e destinazione. Da tanto non può però farsi automaticamente discendere l’esclusione dello scopo di lucro anche perché dalla particolare utilizzazione del bene (il reddito catastale degli immobili utilizzati esclusivamente per l’attività professionale ed artistica non deve infatti essere indicato nella dichiarazione dei redditi ex D.P.R. 22/12/1986 n. 917) discende ipso facto la percezione di un utile e/o di un lucro soggettivo sotto forma di minori oneri fiscali, e/o semplificazione a livello amministrativo e/o di gestione del bene che favoriscono il perseguimento di interessi e di utilità professionali comuni che devono comunque essere valutati al di là del formale raggiungimento di una mera parità di bilancio. La ragione dell’incompatibilità discende quindi dall’assunzione di una carica sociale che comporta poteri di gestione e di rappresentanza essendo irrilevante la distinzione tra effettività dell’attività commerciale e titolarità della carica incompatibile posto che quest’ultima abilita comunque allo svolgimento ‹‹dell’esercizio del commercio››. La ratio dell’incompatibilità (che è quella di evitare i condizionamenti all’esercizio indipendente della professione…) verrebbe infatti elusa dalla potenziale idoneità della carica sociale a compromettere l’indipendenza dell’avvocato, assoggettandola alle dinamiche della concorrenza”;
– da ultimo, con parere n. 67 del 2 novembre 2021 (e richiamando i pareri nn. 27/2017, 5/2012 e 47/2003), ha nuovamente specificato che “l’assenza di finalità lucrativa rende compatibile con l’esercizio della professione forense la partecipazione (ed eventualmente l’assunzione di cariche) in contesti associativi”.
Ebbene, come è noto, l’art. 18, comma 1, lett. c) della Legge n. 147/2012, sancisce che la professione di avvocato è incompatibile “con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione. L’incompatibilità non sussiste se l’oggetto della attività della società è limitato esclusivamente all’amministrazione di beni, personali o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico”.
Di conseguenza, alla luce della normativa in vigore l’assunzione di una carica gestoria in una società è compatibile con la professione forense solo laddove, ai sensi del citato art. 18, comma 1, lett. c), l’attività della società amministrata dall’avvocato sia limitata alla sola “amministrazione di beni, personali o familiari”. Ne deriva che tale attività non ricorre ove il patrimonio immobiliare della società gestita dall’avvocato non sia di proprietà di quest’ultimo o dei suoi familiari ovvero ancora nel caso in cui amministri anche patrimonio immobiliare altrui, dato che, in tal caso, consta un’attività lucrativa di gestione di beni anche di terzi.
3. Pertanto, alla luce di quanto innanzi, si può fornire il seguente riscontro alla richiesta di parere del COA di Varese:
– non è compatibile con la permanenza nell’albo l’avvocato che abbia assunto la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione di una società a responsabilità limitata che svolge attività di «credito ai privati su pegno», visto che trattasi di attività di natura commerciale;
– è compatibile con la permanenza nell’albo l’avvocato che abbia assunto la carica di amministratore di una Società Immobiliare purché l’attività della società amministrata dall’avvocato sia limitata alla sola “amministrazione di beni, personali o familiari”. A tal fine, pertanto, è necessario che l’oggetto sociale sia limitato a tale attività e che, anche concretamente, i beni amministrati siano di proprietà dell’avvocato ovvero dei suoi familiari; tale attività, invece, non ricorre ove il patrimonio immobiliare della società gestita dall’avvocato non sia di proprietà di quest’ultimo o dei suoi familiari ovvero ancora nel caso in cui amministri anche patrimonio immobiliare altrui.
Consiglio nazionale forense, parere 20 dicembre 2022, n. 51
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 51 del 20 Dicembre 2022- Consiglio territoriale: COA Varese, delibera (quesito)
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