Il quesito pare riferito, pur nella sua sintetica formulazione, a prestazioni professionali svolte presso enti in favore di soggetti che fruiscono di un servizio da questi ultimo approntato a favore di associati o altre categorie che l’ente medesimo si proponga di tutelare.
Osserva la Commissione che il quesito implica diverse situazioni di fatto rispetto alle quali possa esplicarsi la condotta professionale dell’avvocato; mentre, infatti, appare concettualmente nitido il riferimento all’attività svolta presso “enti” o “associazioni”, più problematico si presenta quello ai “Comuni” nel cui ambito di organizzazione pubblicistica risulta evidentemente complesso inquadrare un servizio, in senso lato, di consulenza o di assistenza a beneficio di terzi (attività che esula dalle finalità istituzionali dell’ente locale), che presupporrebbe atti di preposizione adottati in conformità delle norme di funzionamento degli enti pubblici.
Le questioni oggetto del quesito sono state esaminate nei pareri 3 ottobre 2001 e 16 luglio 2010 n. 33 le cui conclusioni la Commissione ritiene tuttora attuali, sia nella prospettazione della problematicità di risposte generali (inidonee a delineare i criteri distintivi di condotte, più o meno sfumate, deontologicamente incompatibili) sia nel richiamo del limes costituito dal divieto di accaparramento della clientela; tale principio mantiene il suo disvalore, pure se adeguato alla evoluzione della sensibilità della società e della comunità professionale.
L’attività di acquisizione della clientela va considerata lecita – tanto più in relazione all’ordinamento comunitario ed all’enfasi interpretativa attualmente data all’aspetto organizzativo e concorrenziale dell’esercizio professionale – con il solo limite del disvalore deontologico implicato dai mezzi, a tale fine, in concreto utilizzati, i quali non devono consistere negli strumenti tipizzati in via esemplificativa nei canoni complementari dell’art. 19 del Codice deontologico forense.
D’altro canto, il quesito proposto dal Consiglio rimettente non offre elementi di fatto utili al concreto discernimento della legittimità, o meno, della condotta professionale.
La Commissione può, quindi, solo delineare i sopra richiamati indici in base ai quali potranno essere, caso per caso, confrontate le condotte riscontrate in fatto.
Consiglio nazionale forense (rel. Berruti), parere 22 ottobre 2014, n. 75
Quesito n. 386, COA di Piacenza
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 75 del 22 Ottobre 2014- Consiglio territoriale: COA Piacenza, delibera (quesito)
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