Questo Consiglio Nazionale ha già avuto modo di affermare in più occasioni, seguendo un indirizzo costante, che l’incompatibilità ex art. 3 Rdl 27/11/33 n. 1578 discende dall’assunzione di una carica sociale che comporti poteri di gestione e rappresentanza essendo irrilevante la distinzione tra effettività dell’attività commerciale e titolarità della carica incompatibile posto che quest’ultima abilita comunque allo svolgimento “dell’esercizio del commercio”.
La ratio dell’incompatibilità (che è quella di evitare i condizionamenti all’esercizio indipendente della professione) verrebbe infatti elusa dalla potenziale idoneità della carica sociale a compromettere l’indipendenza dell’avvocato assoggettandolo alle dinamiche della concorrenza.
Nel contesto delineato dal quesito l’avvocato, rivestendo la qualifica di socio accomandante, non si trova esposto al rischio di compromissione della propria indipendenza alla luce del divieto di immistione di cui all’art. 2320 c.c. che gli impedisce il compimento di quegli atti di amministrazione sia interna che esterna che sono riservati all’accomandatario.
L’esclusione di un’idoneità, anche potenziale, allo svolgimento di attività commerciale (ove sia, ovviamente, rispettato il divieto di cui all’art. 2320 c.c.) consente quindi di ritenere che non versi in situazione di incompatibilità l’avvocato che rivesta la qualifica di socio accomandante all’interno di una società in accomandita semplice, a nulla rilevando l’oggetto sociale di quest’ultima.
Consiglio Nazionale Forense (rel. Morlino), parere 11 luglio 2012, n. 45
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 45 del 11 Luglio 2012- Consiglio territoriale: COA Forlì-Cesena, delibera (quesito)
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