Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Chieti, con nota del 26 ottobre 2010 Prot. n. 715/10, ha sottoposto a questa Commissione Consultiva, onde acquisirne il parere, i seguenti quesiti: 1. se un avvocato, incaricato della rappresentanza in giudizio di un ente pubblico in relazione ad una o più questioni, possa – ancora pendenti, nonostante il lungo tempo trascorso, i procedimenti affidati al suo ministero – assumere la difesa in giudizio di altre parti in controversie avverso il medesimo ente, le quali non presentino alcun profilo di interferenza con quelle patrocinate nell’interesse dell’ente stesso; 2. se, in dipendenza dalla risposta affermativa al precedente primo quesito, debba ritenersi necessario il preventivo consenso dell’ente cliente ed a tale riguardo possa valorizzarsi, in termini di assenso, il silenzio dell’ente interessato sulla relativa richiesta del professionista.

La fattispecie rappresentata dal Consiglio territoriale rinviene la sua fonte regolatrice nella disciplina dell’art. 51 del Codice deontologico forense, il cui precetto non consente all’avvocato di assumere incarichi “contro ex clienti” a meno che non sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale e l’oggetto del nuovo incarico sia estraneo a quello espletato “in precedenza”.

Ancorché nel caso concreto – come desumibile dall’esposizione del quesito – non si configurino profili di conflitto d’interesse, nei termini delineati dall’art. 37 del Codice deontologico forense, per la evidenziata diversità dell’oggetto delle prestazioni professionali in questione, deve ritenersi assorbente la dedotta circostanza dell’attuale pendenza dei giudizi nei quali l’avvocato patrocina gli interessi dell’ente suo cliente, rimanendo, peraltro, indifferente l’ulteriore circostanza del decorso di un lungo arco temporale dal conferimento dei relativi mandati (situazione, del resto, inevitabilmente connessa alla naturale durata del processo).
La disposizione dell’art. 51 del Codice deontologico forense è, al riguardo, chiara nel presupporre che ogni attività, inerente e conseguente all’originario incarico affidato dal cliente, debba essersi nel suo complesso esaurita e che, dunque, il mandato professionale si sia estinto; tale aspetto pregiudiziale integra una condictio facti, in difetto della quale l’avvocato non deve assumere alcun incarico che lo conduca ad agire – sia in giudizio che fuori da questo – contro il suo attuale cliente. Ne risulterebbe, infatti, pregiudicato il dovere di fedeltà sancito dall’art. 7 del Codice deontologico forense, il cui canone I inibisce all’avvocato il compimento di atti contrari all’interesse del proprio assistito (come inevitabilmente verrebbe a configurarsi il patrocinio avverso l’assistito stesso).
La risposta negativa al primo quesito assorbe, così come correttamente prospettato dallo stesso Consiglio territoriale, l’esame del secondo.

Consiglio Nazionale Forense (rel. Berruti), parere del 23 febbraio 2011, n. 32

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 32 del 23 Febbraio 2011
- Consiglio territoriale: COA Chieti, delibera (quesito)
Prassi: pareri CNF

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