Nel quadro delle disposizioni dirette a tutelare, nell’esercizio dell’attività professionale, i valori della correttezza e della lealtà nei rapporti con i terzi, l’art. 68, comma 2, CDF (secondo cui “l’avvocato non deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita quando l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza”) eleva a parametro selettivo della condotta sanzionabile il concetto di “estraneità”, opportunamente evocato dal regolatore forense in luogo del concetto di “diversità” per chiarire, già dal punto di vista letterale, come la condotta dell’avvocato assume potenziale rilievo disciplinare non solamente quando l’oggetto del secondo mandato non differisce da quello del primo – cioè quando petitum e causa petendi non sono diversi –, ma anche quando l’oggetto del nuovo incarico non è estraneo a quello espletato in precedenza, nonostante petitum e causa petendi differiscano, per via della consonanza tra gli incarichi professionali alla luce dei doveri fondamentali di probità, lealtà e correttezza che si impongono all’avvocato nell’esercizio della sua attività professionale: è solo attraverso il filtro costituito dalla trama dei doveri fondamentali che debbono guidare anche nei rapporti con i terzi la condotta del professionista che si rende perciò possibile misurare quanto il nuovo incarico risulti estraneo a quello già espletato. Tale valutazione è condotta dal giudice disciplinare unicamente in fatto, perché è solo attraverso l’apprezzamento degli elementi di fatto che connotano la fattispecie oggetto di disamina che egli è posto in grado di stabilire o meno se il nuovo incarico possa dirsi estraneo al precedente, sicché il relativo responso è sottratto al sindacato della Corte di Cassazione.
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 207 del 15 Luglio 2025 (respinge) (censura)- Consiglio territoriale: CDD Genova, delibera n. 38 del 03 Maggio 2023 (censura)
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