La risposta al quesito non può che rinviare al disposto dell’articolo 6 della legge n. 247/12 e in particolare al suo comma 3, a mente del quale: “L’avvocato, i suoi collaboratori e i dipendenti non possono essere obbligati a deporre nei procedimenti e nei giudizi di qualunque specie su ciò di cui siano venuti a conoscenza nell’esercizio della professione o dell’attività di collaborazione o in virtù del rapporto di dipendenza, salvi i casi previsti dalla legge”.
Tale disposizione – cui danno attuazione, in sede processuale, gli articoli 200, comma 1, lett. b) c.p.p. e 249 c.p.c. (che al primo rinvia) e, in sede deontologica, gli articoli 28 e 51 del Codice – deve essere interpretata alla luce dei principi più volte ribaditi dalla giurisprudenza. In particolare, già con la sentenza n. 87/1997 la Corte costituzionale ha ritenuto che tali previsioni debbano ritenersi estese al praticante. In particolare, come si legge al punto 4) del Considerato in diritto, con affermazioni perfettamente applicabili anche alla disciplina del tirocinio professionale oggi in vigore:
“La protezione del segreto professionale, riferita a quanto conosciuto in ragione dell’attività forense svolta da chi sia legittimato a compiere atti propri di tale professione, assume carattere oggettivo, essendo destinata a tutelare le attività inerenti alla difesa e non l’interesse soggettivo del professionista.
Essa, dunque, non può che estendersi anche a chi, essendo iscritto nei registri dei praticanti a seguito di delibera del Consiglio dell’ordine degli avvocati, adempie agli obblighi della pratica forense presso lo studio del professionista con il quale collabora.
Difatti la disciplina normativa della pratica forense attualmente vigente comporta, anche quando non vi sia stata ammissione al patrocinio, il compimento di attività proprie della professione, le quali devono essere svolte ottemperando al dovere di riservatezza (art. 1 del d.P.R. 10 aprile 1990, n. 101, che regolamenta la pratica forense in attuazione della legge 24 luglio 1985, n. 406). Il praticante procuratore partecipa, sotto il controllo di un avvocato, al compimento degli atti tipici dell’attività professionale forense, ed a tali atti si estendono le garanzie connesse al ministero professionale.
Questa interpretazione delle disposizioni denunciate, coerente con le finalità che caratterizzano l’esclusione dell’obbligo di deporre, corrisponde ai criteri del bilanciamento, operato dal legislatore, tra dovere di testimoniare in giudizio e dovere di rispetto del segreto professionale da parte di chi adempie al ministero forense.”.
Nei medesimi termini è reso il parere.
Consiglio nazionale forense, parere n. 48 del 25 luglio 2025
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 48 del 25 Luglio 2025- Consiglio territoriale: COA Torino, delibera (quesito)
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