Il quesito attiene agli effetti dell’esclusione del socio avvocato dalla STA di cui all’art. 4-bis, comma 5, L.P., a mente del quale “La sospensione, cancellazione o radiazione del socio dall’albo nel quale è iscritto costituisce causa di esclusione dalla società di cui al comma 1”.
In particolare, in ragione del tenore della norma, è necessario comprendere:
(i) se la causa di esclusione indicata operi di diritto (cd. “esclusione automatica”) ovvero per volontà degli altri soci (causa di esclusione che giustifica una scelta degli altri soci di espellere dalla compagine il socio sospeso, cancellato o radiato); in quest’ultimo caso, ove non intervenisse la scelta degli altri soci, il socio-avvocato, pur non potendo esercitare la professione, potrebbe teoricamente rimanere in società quale socio di capitali;
(ii) comunque, anche ove si trattasse di una causa di esclusione di diritto, se l’esclusione implichi l’espulsione del socio-avvocato ovvero solo l’esclusione dalla categoria dei soci professionisti, consentendogli di rimanere in società come socio di capitali.
Le tesi meno rigide (esclusione volontaria ovvero esclusione di diritto dalla categoria dei soci professionisti) potrebbero trovare una sponda nel principio di libertà di iniziativa economica, giacché l’avvocato sospeso, cancellato o radiato non potrebbe esercitare la professione, il che gli impedirebbe di nuocere alla collettività; di conseguenza, la sua permanenza nella compagine sociale come socio di capitali gli lascerebbe la possibilità di remunerare il proprio investimento e null’altro. Peraltro, a margine la circostanza che alcuni modelli societari (come la s.p.a.) non prevedono l’istituto della esclusione, la conseguenza dell’esclusione sarebbe comunque quella di riconoscere al socio escluso la liquidazione della quota, con i rischi correlati alla riduzione del patrimonio sociale in forza della liquidazione dovuta al socio escluso.
Una simile ratio, tuttavia, avalla la considerazione di una STA come strumento di impresa prima ancora che come mezzo organizzato di esercizio dell’attività di avvocato.
La tesi più rigorosa, invece, si fonda proprio sulla prospettiva della STA come mezzo di esercizio dell’attività professionale, di talché il passaggio dalla categoria dei soci avvocati a quella dei soci finanziatori, oltre ad alterare le percentuali di cui al comma 2 del medesimo art. 4-bis (almeno i due terzi del capitale e dei diritti di voto devono essere appannaggio di soci professionisti e la maggioranza dei componenti dell’organo di gestione deve essere rappresentata da soci avvocati), impedisce di ricondurre il fenomeno nell’alveo della professione intellettuale, riducendo la valenza di fattispecie gravi quali la sospensione, la cancellazione e la radiazione a meri “incidenti professionali” privi (in toto o parzialmente) di incidenza sul piano societario.
Quest’ultima tesi va preferita.
D’altronde, si pensi alla circostanza che, ammettendo una delle due posizioni meno rigide (causa di esclusione volontaria o esclusione implicante automaticamente la perdita della veste di socio professionista e l’acquisizione della posizione di socio finanziatore), l’avvocato sospeso, cancellato o radiato, potrebbe comunque – magari riequilibrando le percentuali per evitare lo scioglimento della STA – essere non solo socio finanziatore della STA, ma anche (addirittura) amministratore.
Ebbene, la fattispecie STA travalica l’ambito tipicamente societario e involge necessariamente (in un’ottica societariamente transtipica) una funzione, costituzionalmente rilevante, quale quella del diritto di difesa cui attende un avvocato, di modo che, ove questi si trovi nella condizione di non poter più esercitare la professione forense, non può più attendere alla funzione per la quale ha fatto ingresso in società; a ciò si aggiunga che, tra l’altro, l’avvocato è tenuto a seguire regole deontologiche che innalzano viepiù il ruolo di tale professione. Ne deriva che la presenza nella STA di un avvocato sospeso, cancellato o radiato non solo risulterebbe incoerente rispetto alla funzione sociale, non potendo questi esercitare la funzione per la quale è entrato a far parte della compagine sociale, ma andrebbe anche – nelle ipotesi in cui gli sia stata comminata una sanzione inibitoria dell’esercizio della professione – a detrimento della professione nel suo più intimo significato, così svilendo anche i principi di autonomia, indipendenza, dignità e decoro cui tutti gli avvocati sono tenuti.
Insomma, le tesi meno rigide sviliscono il ruolo dell’avvocato; d’altronde, l’avvocato attinto da una sanzione deontologica, dopo averla scontata ovvero dopo aver seguito l’iter previsto di volta in volta dalla L.P., potrebbe (ciò vale anche per l’avvocato radiato ai sensi dell’art. 62, comma 10, L.P.) esercitare nuovamente la professione in forma individuale, avendo ottenuto una remunerazione per l’investimento societario perso in ragione dell’esclusione automatica. Mi sembra, quindi, che la tesi qui sostenuta sia comunque equilibrata anche rispetto ai diritti del socio escluso.
A ciò si aggiunga che la presenza di un avvocato sospeso, cancellato o radiato in un cda di una STA ne potrebbe comunque indirizzare le scelte, il che, alla luce di quanto innanzi, appare quanto meno incongruo.
Ciò posto, dunque, rientrano nella fattispecie legittimante l’esclusione ex art. 4-bis, comma 5, anche alcune ipotesi che non scaturiscono da illeciti deontologici, come, ad esempio, la sospensione volontaria di cui all’art. 20, comma 2, L.P. ovvero la cancellazione dall’albo; anche queste ultime fattispecie precludono l’esercizio della professione di avvocato e, pur non scaturendo da un illecito, vengono ricondotte nell’alveo delle cause di esclusione nella prospettiva prioritaria per cui la STA è un mezzo per esercitare in forma collettiva la professione e, solo limitatamente, uno strumento per ottenere la remunerazione dell’investimento. Il tutto, con l’effetto che si scioglie il singolo rapporto sociale del socio avvocato allorquando questi (per scelta o, a maggior ragione, per sanzioni derivanti da illecito deontologico) non sia più nelle condizioni di esercitare la professione forense.
In definitiva:
(i) La STA è uno strumento di esercizio della professione, sicché l’utilizzo del modello societario rappresenta solo un mezzo per meglio esercitare la professione di avvocato, di modo che tale funzione travalica la prospettiva meramente riconducibile al lucro quale causa del contratto sociale;
(ii) Tale funzione giustifica la norma sulla esclusione dalla compagine sociale del socio che sia stato sospeso, cancellato o radiato dall’albo, siccome dettata a tutela della funzione sociale svolta dall’avvocato anche a mezzo di collettività organizzate, di modo che trattasi di una esclusione di diritto e automatica dalla compagine sociale;
(iii) L’esclusione di diritto del socio avvocato sospeso, cancellato o radiato dall’albo, quindi, si applica – in ragione della funzione specifica di tali società – a prescindere dal modello di società prescelto, sicché, nell’ipotesi in cui il modello societario non preveda di per sé la possibilità di escludere un socio, l’esclusione di diritto del socio-avvocato ai sensi dell’art. 4-bis, comma 5, L.P. rappresenta una norma integrativa della fattispecie;
(iv) La norma citata, quindi, si applica anche nelle ipotesi di sospensione volontaria dall’albo;
(v) Il socio escluso avrà comunque diritto alla liquidazione della quota, il che rappresenta non solo un “lasciapassare” economico rispetto allo scioglimento del rapporto sociale, ma anche un fattore di equilibrio rispetto alla scelta rigida assunta dal legislatore.
Consiglio nazionale forense, parere n. 35 del 16 giugno 2025
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 35 del 16 Giugno 2025- Consiglio territoriale: COA Padova, delibera (quesito)
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