L’istituto della prorogatio – di regola alla naturale scadenza del mandato dell’organo – è espressamente previsto a livello normativo per sopperire all’esigenza di continuità delle funzioni e colmare il “vuoto” che potrebbe verificarsi.
Per l’ordinamento forense, l’articolo 28, comma 7, prevede che “Il consiglio dura in carica un quadriennio e scade il 31 dicembre del quarto anno. Il consiglio uscente resta in carica per il disbrigo degli affari correnti fino all’insediamento del consiglio neoeletto”.
In particolare, la previsione di cui al secondo periodo, riprende – quasi testualmente – quella di cui all’articolo 15, comma 2, del D. Lgs. Lgt. n. 382/1944 e specifica – nell’ambito dell’ordinamento professionale forense – la norma generale recata, per le pubbliche amministrazioni, dall’articolo 3, comma 2 del D.L. n. 293/44.
L’istituto della prorogatio assicura, in questo quadro, la continuità delle funzioni dell’organo collegiale; in considerazione dell’affievolimento della sua legittimazione, tuttavia, l’esercizio dei poteri e delle funzioni ad esso affidati è circoscritto – per il periodo di prorogatio – al solo disbrigo degli affari correnti.
Una lettura dell’articolo 28, comma 7, secondo periodo, che tenga conto della sua collocazione sistematica e del complesso delle disposizioni recate dall’articolo 28, nonché la considerazione della specifica ratio dell’istituto della prorogatio, consente di ritenere che esso si applichi – in via analogica – al caso delle dimissioni della maggioranza dei consiglieri, e non soltanto all’ipotesi della scadenza naturale.
Pur trattandosi di situazione differente rispetto alla naturale scadenza del mandato dei componenti di un Consiglio dell’Ordine, non mancano infatti elementi di analogia, che chiamano in causa le esigenze sottese alla ratio stessa della previsione della prorogatio, soprattutto in relazione alla necessità di evitare la paralisi dell’organo, che potrebbe ridondare in un pregiudizio dei diritti degli iscritti. La continuità dell’esercizio delle funzioni – in attesa della nomina del Commissario straordinario, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 247/12 – deve infatti essere assicurata non soltanto nell’eventualità della scadenza naturale dell’organo ma anche in diverse evenienze di avvicendamento, come l’attuale: e ciò, per il preminente interesse pubblico al corretto esercizio della professione, ma anche per l’esigenza di garantire senza soluzioni di continuità l’effettività dei diritti e dei doveri degli iscritti, beni a presidio dei quali sono attribuite agli Ordini le funzioni enumerate dalla legge.
Le dimissioni della maggioranza dei consiglieri, pur determinando la decadenza dell’organo, non possono comportare la paralisi delle sue funzioni. Pertanto, se la nomina del Commissario rappresenta la soluzione fisiologica, da assicurarsi in tempi rapidi, la continuità delle funzioni deve essere garantita anche nel pur breve intervallo di tempo che intercorre tra le dimissioni della maggioranza dei consiglieri e l’insediamento del Commissario. La norma deve pertanto necessariamente coordinarsi con il citato art. 33 della nuova L.P., e dunque il regime di prorogatio deve considerarsi limitato nel tempo non sino «all’insediamento del consiglio neoletto» bensì fino all’insediamento del Commissario. Resta ferma la previsione di cui all’articolo 28, comma 11, della legge n. 247/12, che fissa sia il quorum strutturale per la validità delle sedute, sia il quorum funzionale per l’assunzione delle decisioni.
Deve dunque ritenersi applicabile nella specie, in via analogica, l’art. 28, comma 7, della nuova L.P., nella parte in cui consente ai consigli uscenti di restare in carica, in regime di prorogatio, per il «disbrigo degli affari correnti».
Il concetto di «affari correnti» – che si interseca e si sovrappone parzialmente a quello di «ordinaria amministrazione», tanto che la giurisprudenza ha a volte adoperato una nozione unitaria di “affari correnti di ordinaria amministrazione”1 – si riempie di contenuti in relazione «all’incidenza che nel caso specifico l’atto in questione ha in relazione al soggetto che lo adotta»2. Come precisato dallo stesso Consiglio di Stato, il discrimen non può essere tracciato in astratto, ma va definito in concreto, guardando al reale assetto degli interessi su cui l’atto incide. Se l’attività dell’organo si riduce, infatti, ad una mera attuazione di scelte discrezionali compiute in epoca in cui agiva nella piena legittimità dei poteri, l’atto, ai fini della sua validità, deve essere ricompreso fra quelli di «ordinaria amministrazione»3.
La nozione di affari correnti non può pertanto essere delineata una tantum in modo astratto, ma deve essere valutata caso per caso, in relazione all’organo considerato, ed all’assetto di interessi sui quali l’atto assunto è destinato ad incidere.
In via di principio, il coa dimissionario dovrebbe assumere solo “atti dovuti”, o comunque privi di significativi margini di discrezionalità: ad esempio, per lo stretto legame sussistente con posizioni soggettive che non possono né devono essere conculcate, le funzioni di tenuta degli Albi e dei Registri (art. 29, lett. a) dovrebbero ritenersi rientranti a pieno titolo nel concetto di “ordinaria amministrazione/disbrigo degli affari correnti”. Del pari dicasi per consentire l’assunzione dell’impegno solenne di cui all’art. 8, orf. prof., attività che non comporta alcuna valutazione discrezionale del consiglio, ma che, se non effettuata, impedisce concretamente l’esercizio della professione da parte dei neo iscritti. Tale ordine di considerazioni potrebbe estendersi alle attività di verifica del regolare svolgimento del tirocinio e rilascio dei relativi certificati (art. 29, lett. c), nonché alla vigilanza sulla condotta degli iscritti, ivi compresa la trasmissione di notizie di illecito al C.D.D. (art. 29, lett. f), giacché si tratta di attività non implicanti alcun margine di discrezionalità valutativa.
Devono invece ritenersi sicuramente escluse dal novero degli affari correnti – per il loro contenuto altamente discrezionale – la funzione regolamentare (art. 29, lett. b), a meno che non si tratti di interventi strettamente necessari e caratterizzati da un ridotto margine di discrezionalità (si pensi all’ipotesi di modifica regolamentare resa necessaria dall’intervento di un giudicato demolitorio); l’istituzione di scuole forensi (art. 29, lett. c), in parte qua); la funzione di elezione dei membri del CDD (art. 29, lett. f); la costituzione di camere arbitrali, di conciliazione ed organismi di risoluzione alternativa delle controversie (art. 29, lett. n); l’adesione ad unioni regionali o interregionali tra ordini, ad associazioni e fondazioni (art. 29, lett. p e q).
Consiglio nazionale forense, parere n. 15 del 18 febbraio 2021
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1 Corte Conti reg. (Molise), sez. contr. 12/05/1995 n. 152: “Secondo un consolidato principio chiaramente deducibile dal sistema, alla scadenza del consiglio regionale, la Giunta, pur restando al suo posto per ragioni di continuità, subisce un affievolimento dei propri poteri che si riducono al mero disbrigo degli affari correnti di ordinaria amministrazione che non siano espressione di un indirizzo politico. Non è perciò assumibile nella suddetta categoria l’atto con il quale la Giunta regionale decide di cofinanziare un progetto per un impianto pilota disinquinatore iperbarico (nella specie, presentato dal Cirti) per l. 3.5 miliardi, atteso il gravoso onere che ne deriva a carico del bilancio regionale suscettibile di mettere i nuovi amministratori davanti a una situazione precostituita e difficilmente reversibile”.
2 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5727. La medesima “apertura” si rintraccia in Cons. st. 3770/09 e 907/97 (v. infra).
3 Cfr. Cons. Stato, sent. 907/97.
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 15 del 18 Febbraio 2021- Consiglio territoriale: COA Novara, delibera (quesito)
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