Viene anzitutto in rilievo, ai fini della risposta al quesito, la previsione generale di cui all’articolo 13 del Codice deontologico, che impone all’avvocato la “rigorosa osservanza del segreto professionale e al massimo riserbo su fatti e circostanze in qualsiasi modo apprese nell’attività di rappresentanza e assistenza in giudizio, nonché nello svolgimento dell’attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale e comunque per ragioni professionali”.
Coerentemente con tale previsione, l’articolo 24, comma 3 del medesimo codice prevede che sussista conflitto di interessi qualora “il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita o cliente”.
Uniche deroghe al dovere di segretezza e riserbo professionale sono quelle previste dall’articolo 28, comma 4 del codice, a mente del quale i predetti doveri non operano “qualora la divulgazione di quanto appreso sia necessaria: a) per lo svolgimento dell’attività di difesa; b) per impedire la commissione di un reato di particolare gravità; c) per allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e cliente o parte assistita; d) nell’ambito di una procedura disciplinare” precisando altresì che “in ogni caso la divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente necessario per il fine tutelato”.
Al di là delle ipotesi di cui alle lettere b) e d), in cui le deroghe al dovere di segretezza sono poste a presidio dell’interesse pubblico (alla lett. b), ad impedire il compimento di reati “di particolare gravità” e alla lett. d) all’esercizio della funzione disciplinare), la deroga di cui alla lett. a) è posta a tutela dello stesso cliente e del suo diritto di difesa e la deroga di cui alla lett. c) a tutela dell’avvocato in controversie con il cliente. In nessun caso è possibile postulare che al dovere di segretezza e riserbo possa derogarsi per tutelare le ragioni di un nuovo cliente, per di più minando la credibilità dell’ex cliente. In tali ipotesi, come evidente, risulterebbe vanificata la stessa ratio dei doveri deontologici in parola, e potrebbe ben ravvisarsi un caso di sussistenza di conflitto di interessi ai sensi dell’articolo 24, comma 3.
È dunque all’intreccio tra le disposizioni richiamate che il COA rimettente dovrà fare riferimento nel valutare – nell’esercizio della propria autonomia – la fattispecie sottoposta al proprio esame.
Consiglio nazionale forense, parere n. 3 del 3 febbraio 2021
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 3 del 03 Febbraio 2021- Consiglio territoriale: COA Barcellona Pozzo di Gotto, delibera (quesito)
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