Con nota pervenuta in data 27 febbraio 2024, l’Unione regionale dei Consigli degli ordini forensi dell’Emilia Romagna (di seguito URCOFER) ha chiesto di valutare se il nuovo codice degli appalti pubblici (Decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36) sia applicabile o meno anche agli ordini professionali ed in particolare ai Consigli degli ordini forensi.

Il quesito, formulate alcune premesse sulla particolare gravosità delle conseguenze di una risposta positiva al quesito stesso, richiama la nota con cui l’Ufficio studi aveva, nell’estate del 2023, analizzato le innovazioni normative in tema di applicabilità agli ordini e ai collegi professionali di adempimenti, obblighi ed oneri genericamente rivolti al comparto pubblico: in particolare, la nota segnalava come il legislatore avesse novellato con l’art. 12 ter del decreto legge 22 giugno 2023, n. 75 (convertito in legge 10 agosto 2023, n. 112) l’art. 2, comma 2 bis, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101, introducendo, dopo il primo periodo, il seguente:
«Ogni altra disposizione diretta alle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non si applica agli ordini, ai collegi professionali, ai relativi organismi nazionali e agli enti aventi natura associativa che sono in equilibrio economico e finanziario, salvo che la legge non lo preveda espressamente» .
Tale norma ha il pregio di stabilire che non basta un mero richiamo agli enti di cui all’art. 1, co. 2, TU pubbl. imp. per ritenere una determinata disciplina applicabile anche agli ordini professionali, bensì impone che, ogni qualvolta il legislatore utilizzi il riferimento all’art. 1, co. 2 TU pubbl. impiego per individuare la platea delle amministrazioni e degli enti destinatari di determinati obblighi, tale riferimento non possa più essere considerato in grado di ricomprendere nella sfera di applicazione gli ordini e i collegi professionali, a meno che questi enti non siano richiamati espressamente.
2.La novella risolve dunque il problema dell’applicabilità o meno di discipline rivolte al comparto pubblico per i casi in cui la platea degli enti destinatari di normative sia individuata con il mero richiamo all’art. 1, comma 2, TU pubbl. imp.: in questi casi la novella introdotta dal decreto legge citato fornisce un criterio oggettivo e dirimente per valutare la soggezione o meno degli ordini e dei collegi professionali, giacché stabilisce l’insufficienza del mero richiamo generico, ma impone che gli enti professionali debbano essere espressamente richiamati.

  1. Per i casi in cui la platea degli enti destinatari di normative rivolte al comparto pubblico non sia individuata dalla legge con la tecnica del richiamo all’art. 1, comma 2, TU pubbl. imp., la novella introdotta in estate non offre una risposta inequivocabile al tema dell’applicabilità o meno in capo agli ordini professionali della normativa considerata. Ponendo comunque il principio generale della inapplicabilità agli ordini delle fonti che non li menzionano espressamente, essa sembra fornire un argomento nel senso della non applicabilità, ma non ha la forza di escludere in via di principio che sempre e comunque gli ordini debbano ritenersi estranei alla sfera di applicazione delle normative che, pur non menzionandoli espressamente, si rivolgono genericamente al comparto pubblico e/o agli enti pubblici non economici .
  2. È proprio questo il caso del codice dei contratti pubblici: il testo llegislativo non richiama l’art. 1, co. 2 TU pubbl imp. e quindi la risposta circa la questione della soggezione o meno degli ordini professionali al codice non può essere risolta in base alla novella di cui all’art. 12 ter del decreto legge 22 giugno 2023, n. 75, ma deve essere ricercata sulla base dei diversi riferimenti di diritto positivo concretamente impiegati, oltre che sulla base dei principi generali coinvolti dalla fonte in esame, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata ed eurounitaria delle norme conferenti, sia di diritto interno che di diritto europeo. La normativa italiana in tema di contratti pubblici è infatti mutuata da alcune direttive europee, delle quali costituisce atto di recepimento.
  3. Come del resto riporta l’URCOFER, l’Autorità di settore (ANAC) ritiene che il codice degli appalti sia applicabile agli ordini professionali. Già con la delibera n. 687 approvata dal Consiglio dell’ANAC nell’Adunanza del 28 giugno 2017, e trasmessa via pec alla Federazione nazionale ordine dei medici chirurghi ed odontoiatri (FNOMCeO) in data 18 luglio 2017, l’ANAC ha ritenuto gli ordini professionali soggetti al codice degli appalti (d.lgsl. n. 50 del 2016) essenzialmente per due motivi: perché gli ordini rientrerebbero nella nozione di enti pubblici non economici menzionata nell’art. 3 lett. a del codice stesso e perché gli ordini stessi sarebbero qualificabili come organismi di diritto pubblico ai sensi del diritto europeo.
  4. Entrambe queste due motivazioni non sembrano condivisibili.
    6.1. In estrema sintesi, gli ordini professionali non sono organismi di diritto pubblico ai sensi del diritto europeo: non lo sono perché, affinché un ente possa essere qualificabile come tale, occorrerebbe – alternativamente – che esso fosse finanziato “per la maggior parte dallo Stato, dalle autorità regionali o locali o da altri organismi di diritto pubblico”; che la sua gestione fosse “posta sotto la vigilanza di tali autorità o organismi”; che il suo organismo di amministrazione, di direzione o di vigilanza fosse “costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, da autorità regionali o locali o da altri organismi di diritto pubblico” (così l’art. 2, par. 4 della direttiva 2014/24/UE nonché l’art. 3, c.1, lett. d) del codice dei contratti pubblici). Nessuno di questi tre elementi ricorre nella conformazione giuridica di un ordine professionale; infatti, non a caso, la Corte di giustizia ha escluso espressamente che un Ordine dei medici tedesco potesse essere qualificabile come organismo di diritto pubblico, in un celebre precedente che si espresse conseguentemente per la non soggezione dell’Ente alle direttive appalti (Corte di Giustizia, sentenza 12 settembre 2013, C-526/11)
    6.2. Neppure il richiamo operato dal previgente codice degli appalti agli enti pubblici non economici (art. 3, co. 1, lett. a, d.lgsl. n. 50 del 2016) può valere a ricomprendere gli ordini professionali. Infatti, quando si riferisce, quali amministrazioni aggiudicatrici, agli “enti pubblici non economici”, l’art. 3, lett. a) del codice degli appalti deve essere interpretato nel senso che esso si riferisca agli enti pubblici non economici che rivestono, al contempo, anche la natura sostanziale di “organismi di diritto pubblico”, in quanto enti pubblici diversi dallo Stato centrale e dalle autorità di governo regionali e locali, ma comunque legati ad essi da uno stretto rapporto di dipendenza. Opinando diversamente, si avrebbe una violazione diretta della conferente disciplina europea, cioè della direttiva europea sugli appalti pubblici 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, che “stabilisce norme sulle procedure per gli appalti indetti da amministrazioni aggiudicatrici” (art. 1, par. 1), e definisce “«amministrazioni aggiudicatrici»: lo Stato, le autorità regionali e locali, gli organismi di diritto pubblico o le associazioni costituite da una o più di tali autorità o da uno o più di tali organismi di diritto pubblico” (art. 2. Par. 1, n. 1).
    Se non costituiscono “amministrazioni aggiudicatrici” ai sensi del diritto dell’Unione, le organizzazioni ordinistiche neppure possono essere qualificate “amministrazioni aggiudicatrici” ai sensi del diritto interno.
  5. La delega legislativa per l’attuazione delle direttive europee sugli appalti pubblici è stata infatti conferita dal Parlamento con la legge 28 gennaio 2016, n. 11, il cui art. 1, autorizzando appunto il Governo “ad adottare … un decreto legislativo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,” ed ha posto uno specifico e puntuale criterio direttivo avente ad oggetto il “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive, come definiti dall’articolo 14, commi 24-ter e 24-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246”(art.1, c.1, lett. a), l.11/2016).
    Ebbene, se si va a vedere il contenuto della disciplina cui il criterio direttivo rinvia, si verifica che il divieto dell’introduzione o anche del mero mantenimento di un livello di regolazione superiore a quello minimo della direttiva viene specificamente puntualizzato proprio in ordine all’ambito soggettivo di applicazione.
    Stabilisce difatti il richiamato art. 14, comma 24 ter, della legge n. 246 del 2005 che, tra gli altri parametri, “costituiscono livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie l’estensione dell’ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari” (lett. b) (enfasi aggiunta).
  6. Si tratta dunque esattamente del caso degli ordini professionali, ai quali, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, le direttive sugli appalti non si applicano, e ai quali, di conseguenza, ai sensi dell’espresso criterio direttivo della delega, l’applicazione non può essere né estesa né mantenuta in sede di recepimento delle direttive stesse, una tale estensione comportando tutti i maggiori ed invero non sostenibili oneri amministrativi connessi all’applicazione di una disciplina pensata essenzialmente per le amministrazioni pubbliche, la cui dotazione di uomini e mezzi non è neppure lontanamente comparabile con quella di cui dispongono le organizzazioni ordinistiche, le quali vivono esclusivamente con i contributi dei loro iscritti, e, per tale motivo, sono positivamente riconosciute dal legislatore come enti “non gravanti sulla spesa pubblica” (art. 2, c. 2-bis, d. l. 31 agosto 2013, n. 101).
    Se, dunque, gli enti pubblici non economici dell’art. 3 sono anche gli ordini professionali, il legislatore italiano ha recepito le fonti europee violando il cd. divieto di gold plating, e cioè violando il divieto di non “appesantire” la disciplina estendendone il campo di applicazione soggettivo . Violazione che possiamo escludere solo se, in via interpretativa, riteniamo il richiamo agli enti pubblici non economici come richiamo a quegli enti pubblici che sono anche organismi di diritto pubblico ai sensi del diritto europeo.
  7. Ebbene, ferme restando tutte le considerazioni fin qui esposte, corre l’obbligo di segnalare che proprio sui temi qui analizzati si è da poche settimane pronunziato il Giudice amministrativo, a seguito dell’impugnazione da parte della FNOMCeO della nota ANAC del 2017 sopra citata. Sebbene gli argomenti sopra indicati, ed invero molti altri, siano stati diffusamente utilizzati nel giudizio per confutare la tesi della applicabilità del codice degli appalti agli ordini professionali, il TAR Lazio, con la sentenza 16 aprile 2024, n. 7455, ha respinto il ricorso della FNOMCeO ed ha affermato la soggezione degli ordini professionali al codice degli appalti, perché “prevale l’interesse generale poziore di tutelare la concorrenza degli operatori del settore, assicurata dalle più stringenti regole dell’evidenza pubblica”. La sentenza appare invero sbrigativa ed incorre con tutta probabilità in più di un vizio motivazionale, specialmente laddove travisa il divieto di gold plating, ritenendo che con esso la fonte europea costituisce “solo un minimo inderogabile per gli Stati membri, che mantengono un margine di apprezzamento rispetto ai principi minimi, essendo consentito ai medesimi adottare una disciplina che prevede regole concorrenziali di applicazione più ampia rispetto a quella richiesta dal diritto comunitario”. Il travisamento è palese: il divieto di gold plating significa al contrario che, in sede di recepimento, il legislatore italiano non può introdurre una disciplina più gravosa di quella europea, che quindi costituisce il massimo di regolazione pubblica esperibile e non certo un minimo.
  8. La sentenza conclude un giudizio iniziato nel 2017 e si riferisce ovviamente al previgente codice degli appalti (d. lgsl. n. 50 del 2016). Nelle more della definizione del caso, è, com’è noto, subentrato il nuovo codice degli appalti (Decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36) e tuttavia la nuova disciplina non sembra innovativa sul punto di interesse, ovvero l’estensione del suo ambito di applicazione anche agli “Enti pubblici non economici”.
    Infatti, in linea con il Codice previgente, l’allegato I.1 (Definizioni dei soggetti, dei contratti, delle procedure e degli strumenti) del nuovo Codice include nella nozione di amministrazioni aggiudicatrici (art. 1, comma 1, lett. q)): “le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti”.
    La citata definizione ricalca quella contenuta nel precedente Codice del 2016 secondo cui le “amministrazioni aggiudicatrici” sono “le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti” (ex art. 3, comma 1, lett. a) del Decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50).
    Del resto, tali definizioni sono identiche a quelle contenute nel Codice ancora previgente, quello del 2006, secondo cui le “amministrazioni aggiudicatrici” sono “le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti.” (ex art. 3, comma 25, del Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163).
    Se dunque anche il nuovo codice degli appalti contempla la nozione di enti pubblici non economici, i principi di cui alla citata recente sentenza sono replicabili anche con riferimento alle fattispecie regolate dal nuovo codice.
  9. Alla luce di quanto sopra evidenziato, ed in attesa di un’eventuale nuova pronunzia che, in sede di appello, possa correggere le conclusioni della sentenza del TAR Lazio sopra riportata, è doveroso segnalare all’Unione richiedente il parere che, malgrado tutte le ragioni sopra esposte che depongono in senso diverso, allo stato la giurisprudenza amministrativa ritiene il codice degli appalti applicabile anche agli ordini professionali, con tutte le necessarie conseguenze in ordine agli adempimenti ed alle procedure cui quindi è opportuno gli ordini debbano prudenzialmente ricorrere nelle attività di scelta del contraente.
  10. Alla luce del quadro descritto e degli orientamenti giurisprudenziali richiamati, Il Consiglio nazionale si riserva di valutare l’opportunità di avviare gli opportuni contatti con l’Autorità di settore (ANAC) ai fini di verificare la possibilità di concordare semplificazioni nell’applicazione del codice degli appalti, specialmente per gli ordini con minori dotazioni di personale in organico e dotazioni patrimoniali ridotte.

Consiglio nazionale forense, parere n. 26 del 24 maggio 2024

Prassi: pareri CNF

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