Il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza riservata rappresenta un principio invalicabile di affidabilità e lealtà nei rapporti tra avvocati, anche e soprattutto, nel processo (visto il nuovo assetto e la nuova collocazione della norma nel Codice deontologico) e ciò indipendentemente dagli effetti processuali della produzione vietata.
L’art. 48 codice deontologico mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario, nel senso che il primo non deve essere condizionato dal timore che il contenuto del documento possa essere valutato in giudizio contro le ragioni del suo cliente, mentre il secondo deve essere portatore di un indispensabile bagaglio di credibilità e lealtà che rappresenta la base del patrimonio di ogni avvocato.
La norma deontologica di cui all’art. 48 cdf non soffre eccezione alcuna, se non quelle tassative ivi previste, e non può essere derogata neanche in vista del pur apprezzabile scopo di offrire il massimo della tutela nell’interesse del proprio cliente
Il divieto assoluto di esibizione in giudizio della corrispondenza riservata tra colleghi non è escluso dall’invito del giudice a transigere ex art. 91 cpc giacché la proposta conciliativa cui fa riferimento detta norma deve essere formulata in giudizio dalla parte proponente e l’eventuale rifiuto della controparte (che può rilevare ai fini delle spese processuali) sarà insito nella mancanza di accettazione, quindi senza alcun bisogno di divulgare la corrispondenza tra i difensori. (CNF Sent. n.362 del 15/12/2016 confermata da CASS. SU n. 21109 del 12/09/2017). (La Sezione ha ritenuto l’illecito lieve e scusabile, con l’applicazione del richiamo verbale).
Consiglio distrettuale di disciplina di Genova (pres. Quattrone, rel. De Santis), decisione n. 36 del 4 febbraio 2020
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