La sospensione cautelare ex art. 43, comma 3°, R.D.L. n. 1578/1933 (ratione temporis applicabile, ora art. 60 L. n. 247/2012) non ha natura di sanzione, costituendo piuttosto un provvedimento amministrativo a carattere provvisorio, avente natura propriamente discrezionale, svincolato dal procedimento disciplinare (di cui non presuppone la apertura), la cui ratio va individuata nell’esigenza di tutelare e salvaguardare la dignità e il prestigio dell’Ordine forense. La sua adozione, in termini generali, è subordinata a due presupposti: a)la gravità in astratto della condotta, correlata, in particolare, ma non esclusivamente, alle situazioni previste dalla norma richiamata; b) l’insorgenza, in conseguenza e per effetto di quella condotta, di una situazione di allarme nella collettività, per la compromissione della dignità e del decoro della categoria nel suo complesso (cd. strepitus fori). Quanto al primo requisito, l’applicazione della misura cautelare ex art. 43, comma 3°. R.D.L. n. 1578/1933, avendo il suo normale presupposto nella semplice emanazione di un mandato o ordine di comparizione o di accompagnamento, richiede soltanto una valutazione della gravità delle imputazioni mosse al professionista e prescinde quindi dalla valutazione di fondatezza delle stesse, che deve invece formare oggetto del giudizio penale ed eventualmente del successivo giudizio disciplinare; ciò che rileva, dunque, è la gravità in astratto delle imputazioni penali, indipendentemente dalla loro fondatezza, al fine di stabilire se sussiste un’incompatibilità morale, prima che giuridica, con l’esercizio della professione; quanto all’altro requisito (c.d. strepitus fori) esso si sostanzia nello “allarme” che la vicenda penale che giustifica l’adozione della cautela abbia creato, non solo nello stretto ambiente professionale, ma anche e soprattutto nell’ambito più vasto e generale della collettività, di guisa che la conoscenza e diffusione all’esterno della notizia della condotta considerata crei nell’opinione pubblica un “clamore” negativo che si ripercuota sull’intera classe forense, compromettendone il prestigio, il decoro, la credibilità e l’immagine. Il sindacato che il C.N.F è chiamato a svolgere in caso di impugnazione della misura cautelare, stante l’evidenziata natura discrezionale del potere con essa esercitato, è limitato, pacificamente, al controllo di legittimità del provvedimento non potendosi estendere ad un riesame del merito e restando precluso ogni riscontro in ordine all’opportunità della comminata sospensione; ciò, in buona sostanza, comporta non la totale esclusione del controllo della motivazione, ma la sua sindacabilità nei limiti in cui l’anomalia motivazionale si traduca nell’inesistenza della motivazione stessa, da intendersi non solo come mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, ma anche come motivazione solo apparente e/o perplessa e/o obiettivamente incomprensibile e/o caratterizzata da affermazioni tra loro inconciliabili.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Salazar, rel. Baffa), sentenza del 6 giugno 2015, n. 79
NOTA:
In senso conforme, tra le altre, Cass. Sez. Unite, 23 dicembre 2005, n. 28505: Cass. S.U. 9 aprile 1986, n. 2463 e S.U., 24 marzo 1971, n. 831; S.U. 13 novembre 2012, n. 19711; S.U. 4 luglio 1987, n. 5867; Cons. Naz. For., 4 marzo 2013, n. 24; Cons. Naz. For., 27 dicembre 2012, n. 192; Cons. Naz. For., 19 settembre 2007, n. 104 e Cons. Naz. For., 6 dicembre 2006, n. 137; Cons, Naz. For., 4 marzo 2013, n. 24; Cons. Naz. For., 28 settembre 2011, n. 146 e Cons. Naz. For., 28 dicembre 2007, n. 257.
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 79 del 06 Giugno 2015 (respinge) (sospensione cautelare)- Consiglio territoriale: COA Perugia, delibera del 18 Luglio 2013 (sospensione cautelare)
- Decisione correlata: Corte di Cassazione n. 6958 del 17 Marzo 2017 (respinge)
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