In sede di iscrizione all’Albo degli avvocati, alcun rilievo può attribuirsi, ai fini della ritenuta sussistenza del requisito della requisito della “condotta specchiatissima ed illibata”, alla circostanza che i contegni ascrivibili al richiedente siano condotte criminose risalenti per le quali sia stata concessa riabilitazione. Quest’ultima, infatti, pur estinguendo le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, non impedisce l’operatività delle ulteriori conseguenze prodottesi autonomamente sul piano amministrativo, quali la valutazione dei requisiti soggettivi occorrenti per l’iscrizione o quelle di tipo disciplinare; né vale ad escludere la storicità dei fatti e la loro negativa valenza in ordine alla considerazione dell’affidabilità del soggetto in relazione alla previsione della sua inclinazione ad un corretto svolgimento della professione forense.
Dalla trasgressione dei doveri deontologici non deriva una perenne sorta di preclusione all’esercizio della professione forense, tant’è che, in ipotesi di radiazione se questo deriva da condanna penale, può farsi luogo alla reiscrizione alle condizioni che siano trascorsi almeno cinque anni dal provvedimento, sia intervenuta la riabilitazione e vi sia stata un’ottima condotta successiva. Dall’avvenuta riabilitazione, tuttavia, non discende automaticamente il diritto ad essere reiscritto all’Albo, atteso che la riabilitazione è causa di estinzione degli effetti penali della condanna ma non elimina il fatto storico e la connotazione negativa dello stesso. Ne consegue che la riabilitazione ex art. 178 c.p. costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente, ai fini della iscrizione del professionista all’Albo, essendo pur sempre necessario valutare nel loro complesso i fatti che avevano determinato le condanne penali precedenti. (Nella specie il CNF ha ritenuto ostativo ad una diversa e favorevole valutazione la gravità delle condotte del richiedente, la loro reiterazione, tale da denotare un non occasionale contrasto con le norme deontologiche, nonché la “tipicità” delle violazioni commesse proprio nell’esercizio del qualificante potere di certificazione dell’autenticità della firma del proprio assistito).
La distanza nel tempo delle condotte da assumere a base della valutazione di sussistenza del requisito della condotta specchiatissima ed illibata non porta sempre e comunque ad escluderne o a ridurne la valenza negativa, poiché devono ritenersi rilevanti anche quelle non prossime alla data in cui la verifica deve essere eseguita quando, per la gravità dell’illecito commesso, esse possano dare luogo ad una valutazione di inidoneità del professionista a svolgere la delicata funzione di cooperazione alla funzione giudiziaria propria dell’attività del difensore. (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Venezia, 21 giugno 2009).
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 137 del 09 Settembre 2011 (accoglie)- Consiglio territoriale: COA Venezia, delibera del 21 Giugno 2009
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