La legge n. 339/03, quand’anche possa ammettersi che ostacoli o dissuada dall’esercizio della libertà fondamentale garantita dall’art. 49 CE, tende a proteggere interessi di rango costituzionale, consistenti, da un lato, nell’imparzialità e nel buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), che richiedono la limitazione di ogni possibile ipotesi di conflitto tra l’interesse privato del pubblico dipendente e l’interesse della p.a., e, dall’altro, nell’indipendenza della professione forense, al fine di garantire l’effettività del diritto di difesa (art. 24 Cost.). L’art. 98 Cost., peraltro, nel prevedere il c.d. obbligo di fedeltà del pubblico dipendente alla nazione, enuncia un principio inconciliabile con la professione forense, naturalmente tesa alla difesa ed il perseguimento esclusivo degli interessi dell’assistito, mentre alla stessa stregua, ma con riguardo alla professione forense, i principi cardine dell’indipendenza del difensore, della fedeltà al mandato conferito dal cliente e del diritto di difesa impongono che il professionista eserciti la propria funzione indipendentemente da qualsivoglia contrastante interesse pubblico o privato, valori che il conflitto tra le due responsabilità (quelle inerenti la professione e quelle legate all’amministrazione pubblica) è senz’altro suscettibile di pregiudicare.
La disciplina posta dalla legge n. 339/03 risponde a ragioni imperative di interesse pubblico e rispetta pienamente i criteri di ragionevolezza e proporzionalità. Ad essa non si applicano i principi comunitari del legittimo affidamento e dei diritti quesiti. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Arezzo, 2 marzo 2007).
Consiglio Nazionale Forense (pres. ALPA, rel. BIANCHI), sentenza del 23 dicembre 2009, n. 208
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 208 del 23 Dicembre 2009 (respinge)- Consiglio territoriale: COA Arezzo, delibera del 02 Marzo 2007
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