Per costante interpretazione, l’art. 3 del R.d.L. n. 1578/1933 si riferisce ai soli rapporti di impiego, e non anche ai rapporti che si instaurano per effetto della svolgimento da parte dell’avvocato di mansioni politiche e rappresentative. La ragione di tale differenziazione risiede nell’esigenza, da un lato, di tutelare il buon andamento e l’imparzialità dell’attività della p.a. nonché il valore espresso dall’obbligo di fedeltà del dipendente pubblico e, dall’altro, di preservare i principi di indipendenza, dell’obbligo di difesa e di fedeltà agli interessi del cliente che caratterizzano la professione forense, beni, questi ultimi che sarebbero messi a repentaglio nel caso di contemporaneo esercizio dell’’attività di dipendente pubblico e di avvocato e che, per il motivo inverso, non lo sono nel caso di esercizio di una funzione pubblica elettiva.
In tema di cancellazione dall’Albo per incompatibilità dell’avvocato dipendente pubblico part-time, devono ritenersi manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della legge n. 393/03 sollevate in riferimento alla asserita mancata previsione di una disciplina transitoria ed alla pretesa violazione di situazioni giuridiche soggettive ormai consolidatesi. Il divieto ripristinato dalla legge n. 339/2003 deve essere invero ritenuto coerente con la caratteristica (peculiare della professione forense tra quelle il cui esercizio è condizionato all’iscrizione in un albo) dell’incompatibilità con qualsiasi “impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario”, non incontrando la discrezionalità del legislatore, libero di introdurre nuove discipline anche opposte a quella in vigore purché non contrastanti con le norme costituzionali e non irragionevoli, il limite del rispetto dei c.d. “diritti quesiti”. Peraltro, pur prescindendo dal rilievo che una tale posizione debba inquadrarsi più correttamene nella categoria delle mere aspettative che non tra i diritti, non può ritenersi che la suddetta disciplina dovesse necessariamente essere indirizzata nel senso di escludere l’applicazione del nuovo regime restrittivo a coloro che già risultavano (legittimamente) iscritti nell’albo, anche perché non può dirsi che una disciplina transitoria manchi, essendo al contrario essa individuabile proprio nel primo comma dell’art. 2, l. cit., che opportunamente e ragionevolmente prevede un adeguato periodo di “moratoria” per esercitare l’opzione tra l’impiego e la libera professione (come altresì puntualizzato dalla Corte cost. con l’ord. n. 91/09). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Trapani, 20 febbraio 2007)
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. PERFETTI, rel. PERFETTI), sentenza del 12 maggio 2010, n. 24
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 24 del 12 Maggio 2010 (respinge)- Consiglio territoriale: COA Trapani, delibera del 20 Febbraio 2007
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