In tema di uso di frasi sconvenienti o offensive, l’art. 20 c.d.f. richiama, senza esserne condizionata, quanto disposto dall’art. 89 del c.p.c. e dall’art. 598 del c.p., che regolamentano e sanzionano, appunto, l’uso, da parte dei difensori, di espressioni sconvenienti o offensive negli scritti presentati davanti al giudice, prevedendo una sorta di scriminante, però, per le sole espressioni offensive, allorché riguardino l’oggetto della causa. Il giudice della disciplina, tuttavia, a fronte di una analitica valutazione che può fare il giudice del merito in ambito di responsabilità civile o penale in ordine al carattere offensivo o meno della frase usata dall’avvocato in scritti difensivi ed al suo effettivo rapporto con l’oggetto della causa, ha completa libertà di effettuare il pieno riesame della frase usata sotto il profilo deontologico, tenendo conto anche della condotta dell’incolpato nel suo complesso e della potenzialità offensiva del comportamento in relazione alla sua ricaduta sul prestigio della classe forense.
Configura illecito disciplinare l’aver qualificato “fedifrago” un soggetto estraneo al processo senza una stretta attinenza tra la frase ingiuriosa e l’oggetto della causa, atteso che ben poteva evidenziarsi la triste esperienza coniugale di uno degli attori, senza riferire dell’infedeltà del marito – qualificandolo fedifrago – e della sua relazione con la segretaria. (Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Milano, 9 aprile 2008).
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 99 del 11 Novembre 2009 (accoglie)- Consiglio territoriale: COA Milano, delibera del 09 Aprile 2008
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