In tema di indagini difensive svolte dall’avvocato penalista, deve ritenersi, conformemente al consolidato orientamento della Suprema Corte, che le prescrizioni contenute nel terzo comma dell’art. 391 bis c.p.p. si intendono rispettate soltanto quando gli avvertimenti rivolti risultino analiticamente verbalizzati, così come è disposto per gli atti compiuti dal Giudice o dal p.m., non essendo sufficiente l’attestazione in merito predisposta dal difensore. Sussiste pertanto illecito disciplinare, atteso il tenore del comma 6 della norma citata, ogniqualvolta le dichiarazioni rese al difensore non siano utilizzabili per violazione delle prescrizioni contenute nel predetto art. 391 bis, comma 3, c.p.p. (nella specie, è stata ritenuta sussistente una violazione del generico dovere di lealtà e correttezza ex art. 6 c.d.f., in quanto, all’epoca in cui era stato approvato il capo d’incolpazione, non era ancora intervenuta la modifica dell’art. 52 del codice che oggi regola in modo più dettagliato e completo i rapporti con i testimoni). (Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Torino, 21 febbraio 2005).
Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. VACCARO), sentenza del 27 ottobre 2008, n. 143
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 143 del 27 Ottobre 2008 (accoglie)- Consiglio territoriale: COA Torino, delibera del 21 Febbraio 2005
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