Il professionista forense non ha piena libertà di diffondere o, comunque, far conoscere all’esterno gli atti di un provvedimento disciplinare a carico di un collega. Tale condotta è oggettivamente idonea a gettare discredito sul collega e, pertanto, ad essa può farsi ricorso unicamente qualora la situazione lo richieda in via di necessità. Se detta necessità non sussiste, tale comportamento deve considerarsi denigratorio. Ciò che rileva, infatti, non è la valutazione dell’intenzione, ma la consapevolezza della idoneità denigratoria degli atti compiuti. (Rigetta ricorso avverso decisione del C.d.O. di Bari del 12 giugno 1993).
Consiglio Nazionale Forense (pres. Ricciardi, rel. Siciliano), sentenza del 30 settembre 1995, n. 96
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 96 del 30 Settembre 1995 (respinge)- Consiglio territoriale: COA Bari, delibera del 12 Giugno 1993
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