Nell’applicare la norma di cui all’art. 52 CDF, che vieta all’avvocato l’uso di espressioni offensive o sconvenienti negli scritti in giudizio o nell’esercizio dell’attività professionale, nei confronti di colleghi, magistrati, controparti o terzi, occorre considerare l’esatto contesto in cui l’espressione sconveniente viene pronunciata, al fine di poter valutare con precisione la sua reale portata offensiva e l’idoneità ad attingere alla soglia minima di offensività per poter ritenere leso il bene giuridico integrato dalla norma di cui all’art. 52 cit.
(Fattispecie nella quale la Sezione ha ritenuto non violativa dell’art. 52 CDF l’espressione “cacacazzi” pronunciata dall’incolpato nei confronti di una collega, sua collaboratrice e cliente, durante una conversazione telefonica registrata di nascosto da quest’ultima, poiché tale espressione, pur ritenuta inopportuna e volgare, per il contesto in cui era calata – conversazione informale e riservata – veniva ritenuta priva di reale portata ingiuriosa o denigratoria, ma piuttosto come inelegante aggettivo per sottolineare la pedanteria molesta della propria interlocutrice).
Consiglio distrettuale di disciplina di Napoli (pres. Sessa, rel. Ausiello), decisione n. 6 del 29 gennaio 2024
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