La Commissione, dopo ampia discussione, fa propria la proposta del relatore e rende il seguente parere:
“Circa la prima ipotesi delineata, la Commissione segnala che la direttiva 98/5/CE, come modificata dall’atto relativo alle condizioni di adesione, tra l’altro, della Repubblica di Malta (in GUCE L. 236, 23 settembre 2003, pag. 33), ed il d. lgs. 2 febbraio 2001, n. 96 recante attuazione di tale direttiva prevedono l’iscrizione dei cittadini comunitari nell’apposita sezione dell’albo subordinatamente all’iscrizione dell’istante presso la competente organizzazione professionale dello Stato membro di origine, documentata da attestato o dichiarazione sostitutiva.
Concorrendo le altre condizioni poste dalla normativa richiamata il richiedente potrà essere iscritto nella sezione dell’albo degli avvocati stabiliti.
Rispetto al secondo punto sottoposto alla propria cognizione, la Commissione considera quanto segue.
La disciplina di cui al d. lgs. 96/2001, come noto, non assume la forma di una regolamentazione esaustiva dell’esercizio della professione di avvocato, ma mira a garantire il solo diritto di esercizio della professione in Stati dell’Unione diversi da quello di origine. In tal senso vanno lette tutte le sue disposizioni, la cui ratio non è quella di affidare all’ordine locale un sindacato globale sull’attività, italiana ed estera, del professionista, bensì quello di apprestare tutela alla funzione giudiziaria in Italia, ossia ad evitare che operino nel nostro Paese soggetti scarsamente qualificati o che siano all’oscuro delle peculiarità del diritto italiano.
Sulla scorta di tali premesse, la normativa disegna un duplice intervento del Consiglio dell’ordine: da una parte quello, del tutto vincolato, nell’ambito dell’iscrizione del professionista nella sezione speciale dell’albo (art. 6), dall’altra quello che si ha in presenza di domanda di dispensa dalla prova attitudinale ai fini dell’integrazione nella professione (art. 12 e segg.).
Solo in questo secondo caso il Consiglio dell’ordine è affidatario di un potere valutativo di più ampio spettro, che ruota intorno alla verifica delle attività concretamente svolte in Italia dal richiedente. Deve, peraltro, considerarsi che – anche in quest’ipotesi – il Consiglio non deve dare un giudizio sulla “vita professionale” dell’avvocato (periodi di permanenza in Italia, presenza in altri studî all’estero, filiali in Paesi diversi, eccetera), ma procedere a verificare che questi abbia concretamente operato sul foro nazionale, con atti o attività stragiudiziali documentate e riferite ad un periodo di tempo privo di vistose interruzioni.
Ciò avviene nell’ottica di garantire la piena attuazione della direttiva 98/5/CE, ossia di rendere pieno ed effettivo il diritto di stabilimento degli avvocati europei, e considerando che l’avvocato integrato è un avvocato tout court, come lo sono tutti coloro che accedono agli albi italiani a seguito dell’iter formativo e secondo le regole ordinarie di accesso alla professione. L’unico effetto è la possibilità di fregiarsi del doppio titolo professionale, quello del paese d’origine e quello italiano (art. 15).
Non può negarsi che la verifica della condizione di effettività e regolarità di cui all’art. 12 presenti alcuni margini di complessità, e la stessa giurisprudenza comunitaria ha avuto modo di definire attraverso indici presuntivi il concetto di attività “stabile e continua”: essa va apprezzata tenuto conto della durata, frequenza, della periodicità e della continuità delle prestazioni professionali erogate, nonché del numero di clienti e del giro di affari realizzato (CGCE, sent. 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, conf. sent. 13 febbraio 2003, causa C-131/01, Commissione/Italia).
Le disposizioni degli artt. 12 e 13 del d.lgs. 96/2001, in coerenza con le finalità del controllo, attribuiscono significativi poteri istruttori al Consiglio dell’ordine procedente ed esplicitamente prevedono che la domanda vada corredata dalla documentazione relativa al numero e alla natura delle pratiche trattate nonché dalle informazioni idonee a provare l’esercizio effettivo e regolare dell’attività professionale svolta nel diritto nazionale per il minimo periodo triennale. La verifica circa la regolarità e l’esercizio effettivo dell’attività esercitata può essere svolta anche mediante la richiesta d’informazioni agli uffici interessati ed audizione dell’istante per chiarimenti o precisazioni in ordine agli elementi di valutazione forniti ed alla documentazione prodotta.
A fronte della produzione di documentazione pertinente da parte dell’istante non sembra potersi dubitare della natura vincolata del potere amministrativo qui esercitato, a fronte della qualità di vero e proprio diritto soggettivo della pretesa azionabile dall’avvocato stabilito in ordine all’iscrizione a pieno titolo nell’albo ordinario, una volta maturati i requisiti di legge, similmente a quanto detto a proposito dell’iscrizione degli (aspiranti) avvocati stabiliti nella sezione speciale dell’albo.
Nell’ordinamento italiano, peraltro, esistono già forme risalenti di verifica dell’effettivo esercizio della professione: si pensi all’avvocato che intenda sostenere l’esame per il patrocinio avanti la Corte di Cassazione (art. 3, l. 1003/1936 e art. 39, R.D. 37/1934) e che deve dimostrare documentalmente il proficuo e continuativo esercizio”.
Consiglio Nazionale Forense (rel. Bianchi), parere del 22 aprile 2010, n. 14
Classificazione
- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 14 del 22 Aprile 2010- Consiglio territoriale: COA Pesaro, delibera (quesito)
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