Procedimento disciplinare: inammissibile l’impugnazione prolissa, generica e confusa

Anche in tema di procedimento disciplinare, ai sensi dell’art. 366, co. 1 n. 3, c.p.c. il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; l’inosservanza di tale dovere pregiudica l’intelligibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, e pertanto comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi l’atto così predisposto in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.) nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (artt. 111, co. 2, Cost. e 6 CEDU) senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui.

Corte di Cassazione (pres. Virgilio, rel. Falabella), SS.UU, sentenza n. 11167 del 6 aprile 2022

NOTA:
In senso conforme, tra le altre, Corte di Cassazione (pres. Cassano, rel. Sestini), SS.UU, sentenza n. 41989 del 30 dicembre 2021.

abc, Giurisprudenza Cassazione

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