In tema di procedimenti disciplinari nei confronti degli avvocati, il comportamento illecito del professionista perseguibile con il procedimento di cui al r.d.l. n. 1578 del 1933 non consiste esclusivamente in condotte contrarie a prescrizioni di legge civile o penale, e neppure si esaurisce nelle ipotesi individuate dal codice deontologico approvato dal CNF, potendo essere sanzionati disciplinarmente, in quanto contrari alla deontologia professionale, anche comportamenti atipici, quali quelli che integrano – come nella specie – un abuso degli strumenti che l’avvocato deve esercitare nell’interesse dei propri assistiti, contrastante con l’esigenza generale di evitare il moltiplicarsi delle controversie qualora queste non corrispondano agli interessi sostanziali degli assistiti; nè la rilevanza di condotte atipiche può suscitare dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 56 del citato r.d.l. n. 1578 del 1933, in quanto la discrezionalità dell’organo rappresentativo della categoria nella ricostruzione dei principi deontologici si svolge all’interno dei binari tracciati dalla legge ed in primo luogo dalla legge costituzionale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza del Consiglio nazionale forense con la quale si affermava che commette un “abuso” il professionista che promuova ripetute azioni esecutive nonostante abbia ricevuto serie e ragionevoli proposte di transazione o una offerta di pagamento, o addirittura un pagamento mediante assegno circolare o un bonifico).
Cassazione Civile, sez. U, 07 febbraio 2006, n. 2509- Pres. Carbone V- Rel. Cicala M- P.M. Iannelli D (Conf.)
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