La contestazione dell’addebito disciplinare non deve necessariamente indicare le norme deontologiche violate

Al fine di garantire il diritto di difesa dell’incolpato (costituente il parametro di valutazione della legittimità del procedimento disciplinare in ossequio ai principi generali di buon andamento e di trasparenza dell’attività amministrativa), necessaria e sufficiente è una chiara ed esaustiva contestazione dei fatti addebitati, non assumendo, invece, rilievo la mancata indicazione delle norme violate, spettando in ogni caso all’organo giudicante la definizione giuridica dei fatti contestati con il solo limite di non potersi sanzionare il professionista per fati diversi o ulteriori a quelli specificamente oggetto dell’incolpazione. In sostanza la contestazione dell’addebito disciplinare non richiede una minuta, completa e particolareggiata esposizione della condotta, essendo sufficiente che, con la lettura dell’incolpazione, l’interessato sia in grado di affrontare in modo efficace e compiuto le proprie difese, senza correre il rischio di essere ritenuto responsabile per fatti diversi da quelli ascrittigli (Nel caso di specie, in applicazione del principio di cui in massima, la Corte ha respinto il ricorso proposto avverso Consiglio Nazionale Forense – pres. Mascherin Andrea, rel. Picchioni Giuseppe – sentenza n. 74 del 1 giugno 2017).

Corte di Cassazione (pres. Canzio, rel. Scarano), SS.UU, sentenza n. 29878 del 20 novembre 2018

abc, Giurisprudenza Cassazione

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