La Cassazione conferma la giurisprudenza del CNF: vietato “pubblicizzare” i nomi dei clienti dello studio

In considerazione della forte valenza pubblicistica dell’attività forense, il rapporto tra cliente e avvocato non è soltanto un rapporto privato di carattere libero-professionale e non può perciò essere ricondotto puramente e semplicemente ad una logica di mercato, sicché anche a seguito del c.d. Decreto Bersani (D.L. n. 223/2006, convertito con L. n. 248/2006) che ha abrogato le disposizioni che non consentivano la pubblicità informativa relativamente alle attività professionali, permane il divieto, nelle informazioni al pubblico, di indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano (Nella specie, il professionista aveva pubblicato sul proprio sito web l’elenco dei principali clienti assistiti in via continuativa o per questioni particolari. In applicazione del principio di cui in massima, la Corte ha rigettato il ricorso avverso Consiglio Nazionale Forense – pres. f.f. Picchioni, rel. Marullo di Condojanni, sentenza dell’8 aprile 2016, n. 55).

Corte di Cassazione (pres. Amoroso, rel. Di Iasi), SS.UU, sentenza n. 9861 del 19 aprile 2017

NOTA:
(*)Interessante e di grande rilievo la sentenza n. 9861 del 19/4/2017 con cui le SSUU della Suprema Corte hanno ribadito quanto ha sempre costituito patrimonio condiviso da tutta l’avvocatura e cioè che il rapporto tra clienti ed avvocati non ha valenza meramente privatistica a carattere libero professionale, ma risente positivamente della “forte valenza pubblicistica” della professione forense.
La regolamentazione in ogni sua parte ed in modo determinante del rapporto professionale, per quanto riguarda la relativa costituzione o la cessazione, non è rimessa in via esclusiva alle considerazioni di carattere personale od alle valutazioni di natura economica e, quindi, alle volontà dei contraenti.
Ciò in ragione dell’obbligatorietà della difesa tecnica nell’ambito del processo penale, nonchè dell’ampiezza dei poteri (e dei doveri) dei procuratori alle liti nell’ambito del processo civile: elementi questi che evidenziano inequivocabilmente quella peculiarità dell’attività forense, giustificata appunto dalla funzione svolta, che è idonea a legittimare le predette limitazioni dell’autonomia contrattuale in un contesto “che non può essere ricondotto pienamente e semplicemente ad una logica di mercato” (pur dopo il cd decreto Bersani).
Sono allora la particolarità del ruolo dell’avvocato ed il suo status pubblicistico, derivante dall’essere “il necessario partecipe dell’esercizio diffuso della funzione giudiziale”, che giustificano, sempre secondo le SSUU, la complessa normativa professionale alla luce del cui valore pubblicistico deve essere valutata la legittimità di quelle previsioni deontologiche restrittive della libertà d’iniziativa.
In applicazione di tali principi, è stata quindi affermata la legittimità della previsione di cui all’art. 17 3° canone del precedente C.D. (ora 35 co. 8) secondo la quale è vietato all’avvocato, nelle informazioni al pubblico, indicare il nominativo dei propri clienti, ancorchè questi vi consentano, nell’ottica di una necessaria cautela diretta ad impedire una diffusione che potrebbe riguardare non solo i nominativi dei clienti stessi ma anche la particolare attività svolta nel loro interesse con interazioni di terzi, prestandosi ad interferenze, condizionamenti e strumentalizzazioni.
Significativa e condivisibile risulta infine la distinzione fatta dalle medesime SSUU circa la non assimilabilità tra la cd pubblicità del dibattimento o della sentenza (che non possono essere segreti, seppur entro precisi limiti), e la pubblicità intesa come propaganda diretta a promuovere presso gli utenti interesse per un prodotto, giacchè quest’ultima, appunto, deve essere influenzata nelle sue modalità di svolgimento dalle cautele imposte per l’esercizio della professione forense.
(G.P.)
(**)In senso conforme, Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Broccardo), sentenza del 2 marzo 2012, n. 39, secondo cui “Lo studio professionale deve garantire la riservatezza del cliente, quale esplicazione del decoro e della dignità che la funzione sociale della professione impone. Tale riservatezza, peraltro, non è rinunciabile da parte del cliente“.

abc, Giurisprudenza Cassazione

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