L’inosservanza, da parte del Consiglio Nazionale Forense, dell’obbligo della motivazione su questioni di fatto integra violazione di legge, denunciabile con ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 56 del R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578, quando si traduca in mancanza della motivazione stessa (con conseguente nullità della pronuncia per difetto di un indispensabile requisito di forma), e cioè nei casi di radicale carenza di essa o del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente) o fra loro logicamente inconciliabili o comunque perplesse ed obiettivamente incomprensibili.(Nell’enunciare il principio di diritto di cui alla massima, la S.C. ha comunque rilevato che, nella specie, appariva congrua e logica la motivazione con la quale il Consiglio Nazionale Forense aveva rigettato il ricorso proposto avverso il provvedimento del Consiglio professionale relativo alla sospensione cautelare di un avvocato sottoposto a misura di custodia cautelare in relazione all’accusa di spaccio di sostanze stupefacenti, in considerazione della particolare gravità dei fatti contestati al professionista, e della risonanza sociale degli stessi, con conseguente allarme sociale e compromissione del decoro e della dignità della classe forense, senza che la legittimità del provvedimento potesse essere valutata “ex post”, in relazione al successivo proscioglimento del legale dall’ADDEBITO.).
Cassazione Civile, sentenza del 17 gennaio 2002, n. 487, sez. U- Pres. Amirante F- Rel. Varrone M- P.M. Maccarone V (parz. Diff.)
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