La contestazione disciplinare nei confronti di un avvocato, che sia adeguatamente specifica quanto all’indicazione dei comportamenti addebitati, non richiede nè la precisazione delle fonti di prova da utilizzare nel procedimento disciplinare, nè la individuazione delle precise norme deontologiche che si assumono violate, dato che la predeterminazione e la certezza dell’incolpazione può ricollegarsi a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività. Ne consegue che necessario, ma al contempo sufficiente, al fine di garantire il diritto di difesa dell’incolpato – e di consentire, quindi, allo stesso di far valere senza alcun condizionamento o limitazione le proprie ragioni – è una chiara contestazione dei fatti addebitati, non assumendo, invece, rilievo la sola mancata indicazione delle norme violate o una loro erronea individuazione, spettando in ogni caso all’organo giudicante la definizione giuridica dei fatti contestati e configurandosi una lesione al diritto di difesa solo allorquando l’incolpato venga sanzionato per fatti diversi da quelli che gli sono stati addebitati ed in relazione ai quali ha apprestato la propria difesa.
Cassazione Civile, sentenza del 10 luglio 2003, n. 10842, sez. U- Pres. Ianniruberto G- Rel. Vidiri G- P.M. Martone A (Diff.)
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