Il contratto di patrocinio – con cui il professionista assume l’incarico di rappresentare la parte in giudizio – non è interamente riconducibile allo schema delineato dal codice civile, negli articoli da 2229 a 2238, per il contratto d’opera intellettuale, proprio in quanto trova la sua disciplina speciale negli articoli da 82 a 87 del codice di procedura civile e nelle norme speciali in materia di professione di avvocato e dei suoi compensi (art. 14 co. 1 L. n. 247/2012). Infatti, ai sensi dell’art. 85 cod.proc.civ. «la procura può essere sempre revocata e il difensore può sempre rinunciarvi», ma la revoca e la rinuncia non hanno «effetto nei confronti dell’altra parte finché non sia avvenuta la sostituzione del difensore»: dalla formulazione della norma risulta allora evidente che, in deroga agli art. 2119 e 2237 cod.civ., il recesso dell’avvocato dal mandato è sempre liberamente esercitabile senza necessità della ricorrenza di una giusta causa, seppure, per scongiurare le conseguenze pregiudizievoli all’assistito per la perdita della difesa tecnica e alla controparte per la mancanza di un titolare di ius postulandi, l’attività mandata della rappresentanza in giudizio prosegua ad ogni effetto fino alla nomina di nuovo difensore: la violazione di questo dovere è sanzionato disciplinarmente (art. 32 cdf) e può essere fonte di risarcimento dei danni, che tuttavia non possono essere identificati, attesa la libertà di recesso, nelle immediate conseguenze della rinuncia al mandato, cioè, per l’assistito, nella necessità di procurarsi un nuovo difensore, ma soltanto nelle conseguenze dell’esercizio del diritto di rinuncia da parte del difensore in violazione delle modalità e delle cautele prescrittegli. In corrispondenza, è ugualmente e chiaramente assicurato all’assistito il diritto alla revoca del mandato al suo difensore, senza alcun limite, soltanto per essere venuto meno il rapporto fiduciario.
Corte di Cassazione (pres. Manna, rel. Papa), Sez. II, sentenza n. 7180 del 10 marzo 2023
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