L’iscrizione dell’avvocato “comunitario” nell’albo italiano costituisce un atto vincolato, subordinato alla ricorrenza dei presupposti stabiliti dalla normativa europea (direttiva 98/5) e italiana (D.Lgs. n. 96/2001), individuati principalmente nella cittadinanza comunitaria e nell’iscrizione all’organizzazione professionale dello Stato di origine. Tuttavia, lo scopo di tale disciplina è quello «di facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquista la qualificazione professionale» e non già quello di regolare «l’accesso alla professione di avvocato» in detto Stato membro, né può consentire l’elusione delle normative nazionali che disciplinano l’accesso alla professione forense per il tramite di un esame statale di abilitazione, per cui appare conforme al diritto europeo il riconoscimento del potere/dovere in capo alle competenti autorità nazionali di valutare in concreto, nel rispetto dei principi eurounitari, se l’atto di esercizio del diritto di stabilimento non avvenga in forme abusive dello stesso diritto dell’Unione, ferma restando la possibilità di un controllo giurisdizionale dell’attività amministrativa condotta a seguito del ricorso dell’interessato. Di conseguenza, qualora nel valutare le singole domande di iscrizione all’albo degli avvocati stabiliti i Consigli dell’Ordine rilevino la carenza dei requisiti necessari a tal fine dovranno negare l’iscrizione. Parimenti, qualora la carenza dei requisiti venga rilevata dopo l’iscrizione, dovranno procedere alla cancellazione.
Corte di Cassazione (pres. Vivaldi, rel. Falaschi), SS.UU, sentenza n. 3706 del 7 febbraio 2019
Classificazione
- Decisione: Corte di Cassazione, sentenza n. 3706 del 07 Febbraio 2019 (respinge)- Decisione correlata: Consiglio Nazionale Forense n. 85 del 27 Luglio 2018
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