La disciplina prevista dalla l. n. 339 del 2003, che sancisce l’incompatibilità tra impiego pubblico “part-time” ed esercizio della professione forense, essendo diretta a tutelare interessi di rango costituzionale quali, da un lato, l’imparzialità e il buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), nonché, dall’altro, l’indipendenza della professione forense (in quanto strumentale all’effettività del diritto di difesa ex art. 24 Cost.), trova applicazione anche nei confronti di chi abbia ottenuto l’iscrizione all’albo degli avvocati in epoca anteriore all’entrata in vigore della l. n. 662 del 1996 – cui va esteso il regime opzionale appositamente previsto per contemperare la reintroduzione del divieto generalizzato con le esigenze organizzative di lavoro e di vita dei dipendenti pubblici a tempo parziale, già ammessi dalla legge dell’epoca all’esercizio della professione legale – atteso che un’operatività limitata solo per l’avvenire otterrebbe il risultato irragionevole di conservare ad esaurimento una riserva di lavoratori pubblici “part-time”, contemporaneamente avvocati, all’interno di un sistema radicalmente contrario alla coesistenza delle due figure lavorative nella stessa persona. (massima uff.)
Corte di Cassazione (pres. Tria , rel. Bellè), Sez. Lav., sentenza n. 9660 del 13 aprile 2021
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